Anoressia, l'ex assessore racconta la sua lotta: "Si può sconfiggere"

L'intervista a Paola Giorgi: la sua esperienza contro una malattia difficilissima da affrontare

L’ex assessore regionale delle Marche Paola Giorgi

L’ex assessore regionale delle Marche Paola Giorgi

Ancona, 12 febbraio 2016 - Si può ancora morire di anoressia. I recenti fatti, per ultimo quello accaduto a Rimini, dimostrano che questa malattia colpisce ancora e tocca sempre più giovani al punto che medici specializzati nel trattamento della patologia hanno iniziato a parlare di anoressia pediatrica. Il messaggio che però l’ex assessore regionale delle Marche Paola Giorgi vuole lanciare é che dall’anoressia si può anche guarire. Parola di chi ha vissuto in prima persona questa malattia e che non ha avuto paura di parlarne già tanto tempo fa. Determinazione e forza di volontà, secondo la Giorgi, sono essenziali ma per chi è nel pieno della malattia è troppo faticoso votare solo su se stessi. Ecco allora che entra in campo la rete che si è costruita attorno al problema può aiutare a superarlo. Associazioni spesso composte da genitori pronti a dare battaglia, a combattere per salvare i propri figli. Un qualcosa che fino a poco tempo fa non esisteva perchè i genitori, in particolare, provavano in tutti i modi a nascondere la malattia dei propri figli.

L'INTERVISTA - Su questa malattia si è detto molto, ma l’approccio è tutt’altro che educativo. Ci sono genitori che si allarmano se il figlio salta la cena e chi invece minimizza sulle conseguenze di un atteggiamento che si insinua fino a diventare uno ‘stile’, un ‘marchio’.

E’ così?

«Purtroppo, nonostante gli sforzi fatti l’anoressia viene vissuta come un ‘tabù’. Qualcosa di cui vergognarsi, qualcosa che da genitore ti farebbe ammettere un errore, qualcosa da tenere nascosta».

La sua esperienza è alle spalle, parliamo di 25 anni fa: come ne è uscita?

«Ai miei tempi non c’erano strutture e non c’era nemmeno tutta la conoscenza che c’è adesso. Purtroppo l’enorme amore dei miei genitori non è bastato. La forza è arrivata da dentro, da una decisione presa, assunta con controllo che poi è esattamente il motivo per cui mi sono ammalata».

Quindi non è la malattia della moda?

«Assolutamente no, ma devo spiegarmi. Le origini possono essere tante e differenti. Sicuramente ci sono ragazze che si sono ammalate per ricercare un modello estetico, ma non è stato il mio caso. Io mi sono ammalata per la mia mania del controllo, per la ricerca continua di una perfezione».

La sua è stata una forma pesante. Come è sopravvissuta?

«Inizialmente non mi rendevo conto. All’inizio non mangi ma hai una grandissima energia. E’ stato più in là nel tempo quando me la sono vista brutta in un paio di occasioni che ho preso coscienza del problema. Non che prima lo sottovalutassi, ma essere in pericolo ti fa ragionare».

Ragazze continuano a morire e l’età si abbassa. Perché?

«Il mio messaggio è chiaro: l’anoressia si sconfigge. Il problema è che non tutti hanno dentro risorse tali per la rinascita ma a differenza dei miei tempi ora ci sono strutture, i genitori sono dentro il problema e lo affrontano».

Durante il suo assessorato ha rivoluzionato il sistema assistenziale per i malati di anoressia...

«Abbiamo creato una rete socio sanitaria, su tre livelli: ambulatoriale (4 punti), residenziale (una struttura), ospedaliero e per i ragazzi e gli adolescenti il Salesi. Sono contenta che l’attuale presidente porti avanti il progetto».

Come si vive da anoressici?

«In totale solitudine. Non esci perché altrimenti gli amici si fermano a prendere un pezzo di pizza, un té e quindi stai sola e a casa».

E’ una ferita che si rimarginerà?

«Non credo, difficilmente. Mi ha provocato e ho provocato tanto dolore. Ma c’è l’ho fatta, e questo è quello che conta».