Sul bus tra il centro e la stazione, nessuno timbra il biglietto

Il nostro viaggio dopo la stretta imposta da Conerobus ai 'portoghesi' che lavorano in porto

Il problema dei «portoghesi» sul bus è sempre più sentito

Il problema dei «portoghesi» sul bus è sempre più sentito

Ancona, 11 febbraio 2016 - Hanno ragione i vertici di Conerobus a pretendere che chi usufruisce del bus paghi il biglietto. Fa parte, prima di tutto, di quel tanto decantatato discorso di civiltà che viene puntualmente rispolverato ogni volta che ci troviamo di fronte a vuoti simili. Peccato, poi, che la realtà di tutti i giorni parli una lingua diversa. Chi usa i mezzi pubblici ad Ancona lo sa: i bus, essendo un servizio utile e ben strutturato (nulla da dire all’organizzazione di una rete di collegamenti efficiente), sono molto appetiti. Il bus costa molto meno di un taxi, molto meno di un’auto (tra gasolio, benzina e parcheggio neanche a parlarne). Eppure il biglietto non lo fa quasi nessuno.

Alla luce della recente stretta imposta dall’azienda sui «portoghesi», abbiamo provato a controllare di persona. Già in passato ci eravamo resi conto che quelli in regola erano molto pochi. Ieri abbiamo avuto l’ulteriore conferma

Ore 10.30, fermata parcheggio Archi

Ad attendere il primo mezzo della Conerobus in transito (nel nostro caso l’1/4 proveniente dalla stazione e diretto in centro) ci sono cinque persone.

Il bus arriva puntuale (neanche un minuto di ritardo. Tutti i passeggeri salgono, nessuno timbra il biglietto. Eravamo solo in due a uscire dal parcheggio degli Archi e quindi con il biglietto valido per la corsa in bus. L’augurio è che gli altri avessero l’abbonamento. Il mezzo non è pienissimo. Tra le persone presenti, gli extracomunitari sono in netta maggioranza. Si sente parlare in spagnolo, indiano, arabo. Inutile prendersi in giro, ci sarebbe da giocarsi una scommessa: quanti sono quelli in piedi o seduti che hanno in tasca un abbonamento o un biglietto regolare?

Ore 13.25, piazza Kennedy

In attesa dell’1/4 che dal centro porta verso la stazione e piazza Ugo Bassi. Arriva il bus doppio e snodabile. E’ pieno zeppo di persone. In strada sono almeno quindici i passeggeri in attesa di salire. Saliamo tutti e nessuno timbra un biglietto. Neanche uno. E’ possibile che tutti abbiano l’abbonamento o che magari avessero timbrato poco prima. Nella vita, si sa, tutto è possibile.

Peccato che poi la realtà dica tutt’altro. Se è vero che Conerobus si è accorta che i «portoghesi» sono un plotone sempre più cospicuo, un motivo ci sarà. Su dieci viaggi in bus, andata e ritorno, in periodi dell’anno normali, lavorativi, si rischia di imbattersi in un controllore sì e no una volta.

Bellissimi i dialoghi dei ragazzi zaino in spalla. Si capisce che molti sono appena usciti da scuola e stanno tornando a casa. Si presume che molti di loro abbiano in tasca l’abbonamento o il biglietto. Eppure una ragazza fa all’amica, sorridendole: «Tu ce l’hai un biglietto? Me lo presti?». E l’altra: «No, me so scordata...». E giù una risata. Alla prima fermata di via Marconi scende un mucchio di gente. Si è capito lontano un chilometro che la maggior parte ha scroccato un passaggio dal centro. Non c’è bisogno neanche di guardarli in faccia. Di sera, poi la musica è anche peggiore. Alle dieci, le undici capita di imbattersi con gente che barcolla ubriaca e che a stento riesce a biascicare un paio di parole. L’autista non può far nulla. Li fa salire e in cuor suo spera che il loro viaggio finisca molto presto. Altro che biglietti.