Ancona, 14 gennaio 2011 - "Ma si può essere indagati per sparare alle papere?". Giacomo Bugaro, vicepresidente del Consiglio regionale, è un misto di stizza e incredulità. Mai e poi mai avrebbe immaginato di dover finire sotto la lente della magistratura per un invaso d’acqua e un casottino realizzati a Chiaravalle, nelle vicinanze del fiume Esino, su un terreno di proprietà di un avvocato di Senigallia. Cara gli è costata la passione per la caccia. Bugaro è infatti indagato dalla Procura di Ancona per abuso edilizio e violazione delle norme paesaggistiche.

 

Secondo l’accusa, le opere per la realizzazione di un appostamento di caccia non possono essere realizzate se troppo vicine a un corso d’acqua. Quella di Bugaro rientrerebbe nei quindici metri di fascia dal fiume e dunque sarebbe irregolare. Insieme a Bugaro sono indagati il capo dell’ufficio tecnico del comune di Chiaravalle (che è accusato anche di abuso d’ufficio) e il proprietario del terreno preso in affitto dal politico anconetano.

 

Agli inizi di dicembre il sostituto procuratore Paolo Gubinelli aveva fatto sequestrare alla Forestale laghetto e capanno. Bugaro, difeso dall’avvocato Maurizio Barbieri, si è opposto e ha chiesto il dissequestro delle opere. Recentemente il Tribunale del Riesame si è espresso negativamente, confermando il sequestro. Un pronunciamento che però apre un dibattito considerevole sulle differenti interpretazioni della legge regionale numero 7 del 1995, il cui articolo 31 è stato modificato nel 2009 e da ultimo anche il 21 dicembre del 2010. La Regione Marche di fatto ha 'copiato' la legge venatoria della Regione Toscana dopo che nella stessa si era aperto un contenzioso con il Wwf. Una mossa fatta proprio per non incappare nella stessa situzione.

 

La Procura fa valere l’applicazione di una legge nazionale che sarebbe in contrasto palese con quella regionale secondo cui "gli appostamenti fissi di caccia autorizzati dalle Province in conformità alle disposizioni della legislazione venatoria non sono soggetti alle prescrizioni normative previste dalla legge regionale 34/1992 e non sono soggetti, altresì, al rilascio dei titoli abilitativi edilizi previsti dalle normative vigenti, purché abbiano le seguenti dimensioni: a) appostamento fisso alla minuta selvaggina, di norma collocato a terra, avente dimensioni non superiori a 9 mq; b) appostamento fisso per colombacci costituito da un capanno principale collocato a terra o su alberi o traliccio artificiale con dimensioni non superiori a 9 mq per ciascun capanno principale o secondario; c) appostamento fisso per palmipedi e trampolieri costituito da un capanno collocato in prossimità dell’acqua, sugli argini di uno specchio d’acqua o prato soggetto ad allagamento le cui dimensioni non possono superare complessivamente i 20 mq".

 

Sulla base della disposizione normativa, Bugaro aveva chiesto i permessi a Comune di Chiaravalle e Provincia. I due enti non hanno obiettato alcunché e le opere sono state realizzate, "in assoluta buona fede" come aggiunge Bugaro. Ma quello della quarta carica istituzionale della Regione non è un caso isolato. In tutta la provincia i capanni per appostamenti fissi di caccia sono circa 700.

 

L’inchiesta della Procura si sta infatti allargando a macchia d’olio. Ai Comuni viene chiesto di smontare le strutture. Ma proprio in queste ore gli uffici della Regione stanno scrivendo a tutti i Comuni chiedendo di applicare la legge così come è stata recentemente modificata. In questa querelle è rimasto invischiato Bugaro che ora probabilmente sanerà la situazione smontando capanno e ricoprendo il laghetto. E così dovrà dire addio alla caccia agli animali acquatici.