Ancona, 19 gennaio 2012 - Sedici aziende fallite nel Fabrianese in un anno. Tredici di queste nel solo Comune di Fabriano. “La conta di chi ha rassegnato i libri contabili alle sedi del Tribunale è una cartina tornasole di quanto si sta verificando nel distretto produttivo”, l'allarme di Confartigianato.

“Muore più di una impresa al mese”, dichiara Simone Clementi, segretario Confartigianato Fabriano, “e si stanno concretizzando quelle che fino a ieri erano solo ipotesi e proiezioni. Come abbiamo già in diverse occasioni segnalato, la crisi sta per aggredire il comparto specifico della fabbricazione e assemblaggio cappe. Questo è il settore che rischia di più per il 2012”. I primi segnali si avvertono già: “L’onda alta della crisi ha del tutto travolto l’indotto artigiano che ruota attorno alla vocazione produttiva storica del Fabrianese, l’elettrodomestico.

Tra le aziende che hanno dichiarato fallimento la percentuale più cospicua è rappresentata proprio da imprese collegate alla filiera storica della Merloni e tradizionalmente impegnate nella produzione, assemblaggio, riparazione, accessori e ricambi per elettrodomestici, così come hanno terminato la propria attività anche una nutrita casistica di aziende dell’indotto specializzate in impiantistica, carpenteria metallica, elettrotecnica”.

Questo trend è collaterale e conseguente “al crollo del colosso della Ardo che ha lasciato il territorio sbalestrato e drammaticamente privo di soluzioni produttive alternative pronte all’uso a far da “paracadute” al territorio. Una emorragia di chiusure d’impresa aperta da anni e ancora non tamponata. Il dato nuovo è che la crisi sta per attecchire anche nel segmento produttivo operante nel comparto cappe, di cui si conta già qualche battente chiuso”. Questa evidenza, prosegue Confartigianato “è allarmante e come associazione artigiana esprimiamo la nostra preoccupazione per come sta evolvendo la situazione nel Fabrianese. C’è necessità quanto prima di una ridefinizione dell’assetto produttivo distrettuale. Le aziende devono essere messe in condizione di innovare per adattare le proprie capacità a un mercato che è cambiato e ormai non può più ruotare attorno al comparto del “bianco”.

Occorre da parte delle Banche e delle Istituzioni la lungimiranza e la sensibilità necessaria di garantire risorse economiche a questa fondamentale necessità di trasformazione. Le micro e piccole aziende del distretto sono la spina dorsale dell’economia del territorio, perché garantiscono lavoro e stabilità alle famiglie del luogo. Devono essere messe in condizione di rinnovare le proprie linee produttive, cambiare mercato – conclude Clementi – o ogni sforzo fatto per resistere sarà inutile”.