Ancona, 27 ottobre 2013 - LA SENTENZA della III sezione civile della Corte di Cassazione, depositata martedì scorso, ha sancito che dietro la strage di Ustica del 27 giugno 1980 ci fu un depistaggio e che a far cadere il DC9 dell’Itavia fu effettivamente un missile. La Suprema Corte ha accolto quindi il ricorso delle figlie dell’armatore Aldo Davanzali, Luisa e Tiziana, che ora dovranno avviare un procedimento civile per essere risarcite. Le eredi del patron di Itavia non si aspettano risarcimenti esorbitanti, «visti i tempi che corrono», ma intanto la sentenza del 22 ottobre rappresenta per le due sorelle un «riscatto del nome di Aldo Davanzali e della gloriosa compagnia Itavia».

Luisa Davanzali, come è cambiata la vostra vita dopo Ustica?
«Prima della strage ero una giovane moglie e mamma che non aveva alcun pensiero del domani, da quel momento ho dovuto vivere del mio lavoro e da allora la mia famiglia ha vissuto con le cose che aveva da vendere».

Ossia?
«Le società di famiglia, perché non c’era solo l’Itavia, ma anche la Sadar Incop, che gestiva gli ormeggiatori del porto di Ancona ed eseguiva lavori in banchina, e la Adamar, che eseguiva lavori off shore. L’ultima attività venduta è stato l’albergo Costa Tiziana, in Calabria».

Cosa è rimasto?
«Poco, abbiamo dovuto vendere anche terreni e casolari dei nonni paterni: grazie a quelle vendite mio padre è riuscito ad andare avanti. Ora abbiamo messo in vendita anche Villa Luisa, a Sirolo. Il tracollo è stato immediato e solo chi ci è passato lo può capire».

E per lei, Tiziana Davanzali, cosa è cambiato?
«È cambiato tutto, avevamo un impero, ma molti beni sono stati pignorati o posti sotto sequestro. Dopo la strage di Ustica e la revoca della licenza di volo, le banche hanno chiesto a mio padre di rientrare e da allora è iniziato un periodo davvero difficile».

Lei cosa faceva all’epoca?
«Ero studentessa di Giurisprudenza, sono riuscita a laurearmi ed ho affiancato mio padre. Abbiamo lavorato per salvare il possibile, per anni ci siamo battuti a livello giudiziario, abbiamo vissuto anche la malattia e la morte di nostra madre. La fortuna a volte ti sostiene, poi all’improvviso ti volta le spalle».

Cosa significa la sentenza della Cassazione?
«È stato il riscatto di nostro padre, un momento bellissimo: entrambe eravamo a Roma per la sentenza, insieme all’avvocato Cataldo D’Andria. Da quattro giorni le persone ci fermano per strada o ci telefonano per farci i complimenti. È stato anche il riscatto dell’Itavia, una compagnia gloriosa che dava lavoro a 1.500 persone. Con il passare del tempo la verità processuale va a coincidere con quella oggettiva».

Cosa cambierà sotto il profilo finanziario?
«La Cassazione ha stabilito il nostro diritto ad essere risarcite e speriamo che con una nuova azione civile il riscatto sia anche economico, anche se di questi tempi non ci aspettiamo risarcimenti miliardari».

Tiziana, non le sembra che la verità processuale non abbia chiarito tutto?
«Certo, l’Italia dovrebbe pretendere un’ammissione dai Paesi che furono coinvolti. Noi, in ogni caso, non abbiamo mai mollato, come i familiari delle vittime: non potevamo mollare di fronte ad una cosa tanto grande».

Luisa, è vero che con il risarcimento vorrebbe far tornare a volare l’Itavia?
«Sì, gli anni che mi restano vorrei dedicarli a realizzare questo sogno. Dovremo aspettare un risarcimento, ma sto già prendendo contatti con alcuni ex dipendenti. Mi ha commosso il fratello di una vittima della strage, un avvocato che si è offerto di affiancarmi in questa impresa. Chissà, l’Itavia potrebbe diventare una piccola Ryanair italiana».

di Alessandra Pascucci

FOTO Il relitto del Dc-9

La commemorazione in Comune