Ancona, 24 aprile 2014 - LA GIUSTIZIA italiana l’ha sempre respinta ma ora la dottoressa fabrianese Nicoletta Giuseppetti ha deciso di arrivare fino a Strasburgo pur di chiedere i danni allo Stato per quel finto medico che ha preso il suo posto. Quasi un quarto di secolo è passato dal 1990 quando la donna (oggi residente a Perugia e dipendente Asur presso il Pronto soccorso di Fabriano) sfiorò la vittoria al concorso pubblico per il ruolo di dirigente di medicina all’ospedale di Camerino. Il posto andò a Luciano Franco Fabi che per quattro anni ha esercitato all’interno delle struttura sanitaria camerte prima di essere sospeso in quanto si scoprì essere un falso medico. Il dossier dei carabinieri, infatti, portò alla luce che l’uomo aveva presentato documenti taroccati, in particolare una laurea mai ottenuta. Una volta divenuta ufficiale la rimozione dall’incarico del vincitore del concorso (poi condannato a dieci mesi di reclusione), la fabrianese – in qualità di prima delle escluse – chiese di prenderne il suo posto ricevendo risposta negativa e da lì iniziò una lunga e tortuosa partita giudiziaria. «L’allora Usl di Camerino – afferma Stefano Goretti, avvocato perugino che assiste la dottoressa beffata – respinse il ricorso della donna accampando il principio dell’inutilizzabilità della graduatoria per decorso del termine annuale e il diritto alla discrezionalità. In pratica, una sorta di prescrizione autodecisa dall’ente sanitario. Come dire che prima la struttura sanitaria viola la legalità facendo di tutto per assumere un finto medico e poco dopo si erge a paladina della legalità stessa». Poi il ricorso a Tar, Consiglio di Stato e Cassazione sempre con verdetto sfavorevole alla dottoressa che, ora, però, ha deciso di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo come ultima tappa di un percorso, come dice lei, «alla ricerca di una vera giustizia».

L'intervista

DOTTORESSA Nicoletta Giuseppetti, perché è così ostinata nel cercare ancora di prendersi quel posto all’ospedale di Camerino?
«Cominciamo con il dire che, per fortuna, la mia vita professionale è solida e appagante. Lavoro al Pronto soccorso di Fabriano e ne sono felice. Per capirci non sono una che versa in condizioni di chissà quale disagio economico, per cui è soprattutto una questione di orgoglio e dignità».

Ma perché tutto questo ardore per una vecchia storia?
«Quella ‘vecchia storia’ mi ha rovinato la vita e non parlo solo dei tanti soldi spesi per i ricorsi. Scoprire che un falso medico per quattro anni ha lavorato al posto mio non è certo una sensazione piacevole. Ma ancora più rabbia mi ha destato ciò che è successo dopo, ovvero il fatto di non averlo sostituito suo quando quell’uomo è stato rimosso e condannato in sede penale».

Insomma, il danno e la beffa?
«E’ così. Ho avuto fiducia nello Stato italiano, percorrendo tutti i gradi di giudizio. Il risultato è stato un pugno di mosche. Anzi, da ultimo, la Cassazione mi ha condannato a pagare le spese della causa intentata per danno morale. Per questo ora ho deciso di rivolgermi a Strasburgo tramite il mio avvocato perché prima o poi la verità dovrà pur venire a galla e qualcuno pagare il conto di certe storture».

Ma perché dovrebbero darle ragione all’Unione Europea e ribaltare i verdetti italiani?
«Il risarcimento lo ritengo legittimo e doveroso. Sa quanto mi è costata quella beffa? Non poco, perché ho dovuto sopportare anni di gavetta e precariato prima di avere una stabilizzazione che invece avrei ottenuto se non ci fosse stata una palese truffa».

Indipendentemente da come andrà a finire, cosa le resterà di questa storia?
«Guardi ci sono almeno due aspetti che rimarranno sempre una ferita aperta».

Partiamo dal primo.
«Mi domando: in che Stato viviamo? Dove va questa Italia? Prima si fa vincere un finto medico e poi non si riassume chi invece aveva pieno titolo ad occupare quel posto. In un così lungo tempo, tra un Tribunale e l’altro, mi sono fatta l’idea che quell’uomo non ha vinto da solo e che anche qualcun altro dovrebbe ugualmente essere chiamato in causa perché era palese come certi documenti fossero inattendibili».

E la seconda riflessione?
«Si parla tanto di malasanità e di un settore come il nostro in cui si è sempre sotto pressione e dove basta un minimo errore per finire indagati. Magari questo può essere un dazio pesante comunque comprensibile, ma qui c’è un caso estremo. Ovvero un finto medico ha lavorato per ben quattro anni in una struttura pubblica con mansioni operative. Questo signore può aver effettuato centinaia di diagnosi su tantissimi pazienti e chi ci dice che non siano state totalmente sbagliate e non abbiano provocato conseguenze gravi?».

Alessandro Di Marco