Alessia Polita in carrozzina non si arrende: "Sogno di correre in auto e sposarmi"

Jesi, l’ex campionessa di moto Polita e la sua nuova avventura

Alessia Polita, 32 anni di Jesi (Ancona) durante una sfilata in abito da sposa

Alessia Polita, 32 anni di Jesi (Ancona) durante una sfilata in abito da sposa

Jesi (Ancona), 14 gennaio 2018 - Sale sull’auto da competizione, una Seat Leon, ed è subito picco d’adrenalina. La stessa dell’ultima volta in moto a Misano, prima di quella curva che le ha segnato per sempre la vita. Nessuna paura. Alessia Polita, ex campionessa di motociclismo, 32 anni, da quattro e mezzo in sedia a rotelle per un terribile incidente in pista a Misano, sta vivendo «una vera rinascita interiore». Anche se non vuole illudersi, per via degli alti costi di questo sport. «Nata per i motori» lo dice lei stessa, è di nuovo alle stelle. Dopo aver toccato il fondo e superato le prove più difficili, in pista come nella vita. Quello di correre in auto ora, confessa, è il suo sogno più grande assieme a quello di «diventare mamma e costruire una famiglia». Rivelazioni che Alessia sta raccogliendo in un libro che dovrebbe essere pubblicato quest’anno.

Alessia Polita, cosa ha provato nel salire in auto?

«Sono stata quattro anni spenta. La mia vita era in pista con tutte le sue emozioni. Sempre in giro per il mondo. E salire sull’auto, il mese scorso, grazie ad un regalo di compleanno dei miei amici, una giornata in pista a Magione, è stata una rinascita interiore. Anche se ho distrutto l’auto, ho provato le stesse emozioni che sentivo in moto. Ho subito avuto voglia di ricominciare. Stiamo cercando gli sponsor anche se non c’è troppo tempo. Ho delle persone che mi aiutano così come mio padre. Il 2018 sarà un anno di rodaggio. O meglio io dico così poi mi metto in testa di vincere (ride, ndr). E’ come se non fossi mai più tornata da Misano, sento come se la mia carriera sportiva non fosse completa».

Cioè?

«Non ho ancora aperto e disfatto la valigia di Misano, non ce la faccio. E’ come se non fossi mai tornata. Lì c’erano gli abiti che avevo preparato, la mia vecchia vita».

Se potesse tornare indietro, a un minuto prima dell’incidente, salirebbe in moto?

«Certo, rifarei tutto. Alle 9.01 stavo dando gas alla moto, alle 9.02 e 47 secondi non camminavo più. Ma non ho mai maledetto le corse. E anche se ora potessi alzarmi dalla sedia, salirei in moto. Quella distrutta 4 anni fa è tornata da poco in officina. Non vedevo l’ora. Ogni tanto la guardo. Pensi che tre giorni dopo l’incidente dal letto d’ospedale ho guardato negli occhi mio padre, senza dire nulla. Stavo per piangere e lui si affrettò a dire: ‘Non ti preoccupare, babbo ti porta a correre con le macchine’. Poco dopo gli ho detto: ‘Porta Ale (suo fratello, motociclista anche lui, ndr) al mondiale’».

Crede nel destino?

«Alla clinica di Montecatone ho visto gente che non cammina più perché caduta mentre si stava sedendo sulla sedia al tavolo. Mi hanno anche detto che me la sono cercata, ma io credo che la mia sia la dimostrazione che ci ho messo l’anima per inseguire il mio sogno, la mia vita».

Cosa sogna ora, oltre al tornare in pista?

«Un figlio, il matrimonio in cui credo molto. Grazie al sostegno di tante persone che mi hanno aiutato con la onlus creata dalla mia famiglia sono riuscita a tornare autonoma dopo 4 anni con una casa mia, su misura. E vorrei tanto costruire qui una famiglia, magari dopo un viaggio in America con le mie amiche, oppure in India».

Ma la storia con Eddi La Marra, che vi ha uniti nel dolore, è finita.

«Sì, ci ho sofferto ma ho superato anche questo. Appena 73 giorni dopo l’incidente lui è entrato in coma per un incidente in moto, come me. Mi è caduto il mondo addosso ma mi sono fatta forza e nonostante le mie condizioni sono andata da lui. Gli hanno asportato una parte di cervello, non mi riconosceva più. Non volevano farmi uscire dalla clinica di Montecatone così ho mostrato tutta la mia disperazione, fino a minacciare di buttarmi dalla finestra. Io parlerò di lui ai miei figli, vorrei fosse nella mia vita sempre. Durante quelle fasi terribili non potevo dire ciò che provavo, le mie debolezze, nemmeno ai miei genitori, così ho iniziato a scrivere e presto quei pensieri diventeranno un libro».

In realtà la sua grinta nasce a tre anni.

«A quell’età mi hanno diagnosticato un’encefalite da stafilococco. I medici hanno detto che è stato quasi un miracolo se non ho avuto conseguenze. E’ stato difficile poi mi sono presa la mia rivincita. Mio padre mi diceva che non potevo salire in moto: ‘E’ uno sport per uomini’. Ma io insistendo a 16 anni sono riuscita a salire e ho dimostrato di farcela. Forse devo ringraziare anche la malattia se oggi sono così forte».