Delitto del catamarano, "Così abbiamo preso De Cristofaro"

Il racconto e le prove dei poliziotti che hanno preso il killer

I due poliziotti che hanno arrestato De Cristofaro (foto Antic)

I due poliziotti che hanno arrestato De Cristofaro (foto Antic)

Ancona, 25 maggio 2016 - «Un elemento indiziario che ha dato la svolta, è stata la prova antropometrica». Come nei telefilm di Csi, è stato utilizzato «un costosissimo programma – hanno detto il comandante della Squadra Mobile dorica, Virgilio Russo insieme al vice, Carlo Pinto – in grado, da un fotogramma, di valutare e confrontare i lineamenti di una persona con quelli di un ricercato fino a identificarlo».

E proprio da qui le indagini hanno iniziato a farsi ‘calde’. «Abbiamo trovato – hanno detto gli agenti che hanno arrestato il ‘Rambo dei mari’ in Portogallo, Roberto Quargnial e Dante Ciarafani – un bigliettino appallottolato e gettato in un cestino, contenente un indirizzo ip (una sorta di codice identificativo utilizzato dalla rete internet, ndr). Lo aveva lasciato in una stanza dove aveva soggiornato. Siamo quindi risaliti ad un contatto Skype e a questo punto – proseguono – abbiamo contattato la società che ha sede a Dublino e, dobbiamo dire, sono stati molto collaborativi al contrario di quanto accaduto recentemente con un’altra azienda».

Pian piano «abbiamo iniziato a controllare tutto il traffico web fino ad individuare quel numero Ip – hanno proseguito – e successivamente un account Gmail. Sulla piantina di Lisbona, abbiamo iniziato a mettere delle puntine in tutti quei luoghi in cui l’Ip si agganciava. Il wi-fi, in quel Paese, è molto meno regolarizzato e più libero. Un lavoro difficile dato che De Cristofaro aveva sempre il telefono in ‘modalità aereo’ e quindi non era tracciabile. Man mano – aggiungono – abbiamo chiesto ai colleghi portoghesi di installare telecamere in tutti quei punti segnati sulla mappa fino a quando siamo riusciti a individuarlo. Comparata l’immagine, abbiamo iniziato gli appostamenti per poi catturarlo appena sceso dal treno». De Cristofaro sapeva muoversi molto bene.

«Padrone di molte lingue, anche orientali – aggiungono – in carcere lasciò un dizionario pure di cinese». Due anni da latitante a Sintra, certo di non essere rintracciato. Documenti falsi, presi a Milano ma di matrice albanese. Tra questi, anche una patente nautica che avrebbe voluto utilizzare probabilmente per raggiungere l’Africa e darsi al commercio di diamanti. Un passo che non ha fatto perché: «dove vado con questo passaporto? E fatto benissimo ma non ha il chip come quelli che vengono rilasciati ora» ha detto agli ispettori della Catturandi dorica. Un passaporto con ‘scadenza 2016’.

Temeva quindi che quello sarebbe stato un passo falso che l’avrebbe portato dritto in bocca al leone, ma è stata solo questione di tempo. Arrestato, non ha detto nulla circa quel 10 giugno 1988 quando avvenne il delitto del catamarano. «E’ convinto di aver scontato la sua pena, e lo è anche la figlia. In Olanda – è stato detto -, il massimo a cui si può arrivare è infatti 15 anni». Nella sua testa, De Cristofaro aveva quindi pagato ampiamente il suo debito con la giustizia, e ora si meritava la scarcerazione.