La favola del porto

Ancona, 26 luglio 2015 - C’era una volta il porto, cuore pulsante della città, identità di un popolo, anima storica degli anconetani, vivo e vissuto, porta d’Oriente e spinta verso il mondo. Poi, però, proprio da quell’Oriente arrivarono minacce e attentati e allora, come spesso accade in questa era che si dice globale ma che finisce sempre più per chiudersi in se stessa per aprirsi solo nell’universo virtuale, ecco spuntare barriere e reti nel nome di una sicurezza vissuta come imposizione e non tutela. Tante, troppe quelle barriere. Il porto da una parte, la città dall’altra col mare guardato attraverso fessure e scorci rubati. Ma è qui che la favola cambia. Perché gli anconetani cominciano a rumoreggiare prima e a protestare poi: «Quel porto è nostro», dicono.

E a loro torna con un bel finale degno di ogni favola che si rispetti, un finale provvisorio ma che ben fa sperare. E che oggi, meteo permettendo, vivrà la sua festa più bella. Ma per ogni favola, lo sappiamo, c’è anche un insegnamento. Quale? Se una città dialoga per un obiettivo finale comune, se una città per un attimo dimentica colori politici e vecchie ruggini, se una città smette, anche solo per un attimo, di brontolare perché discorrere non è fadiga, se una città nel momento giusto si ritrova pure un anconetano alla guida dell’Autorità portuale, beh allora il futuro può davvero cominciare. C’era una volta il porto. Anzi, quel porto c’era e c’è.