La rabbia degli zii del bodyguard che si è dato fuoco: «Francesco si poteva salvare»

Si dà fuoco in tribunale, rabbia e dolore per il papà

I funerali officiati ieri in una cerimonia a Torrette (Antic)

I funerali officiati ieri in una cerimonia a Torrette (Antic)

Ancona, 4 agosto 2015 -  «Nostro nipote si poteva salvare, ma è stato lasciato solo». E’ un duro atto d’accusa verso le istituzioni quello degli zii di Francesco Di Leo, il bodyguard 43enne barese, ma da anni residente a Pesaro, che si è dato fuoco nell’atrio del Tribunale dei minori di Ancona temendo di perdere l’affidamento del figlio. Sono loro a fare cordone sanitario intorno a Maria Jolanta Juszczac, la compagna di Francesco, davanti alla porta dell’appartamento di via Panicali, zona Loreto, dove viveva la coppia.

«Francesco avrebbe avuto il suo primo appuntamento con lo psicologo solo venerdì scorso, quando aveva ormai deciso di compiere il suo gesto estremo. Stava male da settimane e nessuno l’ha aiutato. La sola idea di separarsi dal figlio, ora ospitato in una casa famiglia e che non sa nulla della tragedia, gli ha fatto perdere il controllo di sé» raccontano gli zii che quel maledetto venerdì, dopo aver letto il suo addio su Facebook, hanno cercato di fermare il nipote chiamando il 113. «Lo abbiamo tempestato di telefonate quando probabilmente era già in viaggio con il suo scooter verso Ancona – spiegano –. Purtroppo la Polizia è riuscita a localizzare il suo cellulare in via Cavorchie quando era già successo tutto».

Una dramma annunciato, quello di Di Leo che, dopo un tentativo di suicidio con i farmaci, si era visto aprire dalla magistratura minorile un procedimento di allontanamento dal figlioletto. «Erano settimane che Francesco scriveva frasi disperate sul social network – raccontano i parenti _ Gli abbiamo consigliato di rimuoverle subito perchè i giudici avrebbero potuto tenerne conto nella decisione dell’affidamento del bambino. Lui era pienamente consapevole della sua situazione e ha seguito il nostro consiglio. Sapeva di dover lasciare la casa di via Panicali, ma il bambino aveva ottime probabilità di restare con la mamma, che in questo momento non può seguirlo durante il giorno perchè lavora e non ha parenti in città. Gli avevamo prospettato anche una seconda possibilità se non fosse andata bene, quella di trovare un impiego per Jolanta a Bari, dove ci sono i nonni e dove abita gran parte della nostra famiglia. Nulla sembrava perduto e anche Francesco, nella sofferenza, sembrava non aver perso lucidità».

Quel che è certo è che quel bambino, frutto dell’amore sbocciato sei anni fa con la polacca Maria Jolanta, sua coetanea, era tutta la sua vita. Lei era arrivata a Pesaro dalla Polonia per lavorare e si era subito data da fare per ottenere un regolare permesso di soggiorno e far ricoscere il suo diploma di infermiera professionale. Lui era molto conosciuto in città per aver lavorato come «buttafuori» in alcuni locali notturni della zona e per il servizio d’ordine prestato al Bpa Palas durante le partite di basket. Un amore vero, il loro, che negli ultimi tempi era stato messo a dura prova dai colpi della crisi economica e dal lavoro che, almeno per Francesco, non girava più come prima. Forse per questo si era fatto trascinare in situazioni sbagliate che avevano moltiplicato le occasioni di litigio nella coppia. A rendere ancora più fragile la tenuta psichica dell’uomo la recente scomparsa di un amico e collega, che si era dato la morte con il fuoco, da sembrava averlo molto scosso. Un cocktail micidiale di situazioni alle quali Francesco aveva cercato di resistere: fino all’ultimo, eclatante gesto