Mosè, il figlio dell’alluvione. "Salvato dalle acque, segno divino"

Il 3 maggio la mamma, al sesto mese, venne soccorsa in pedalò

Emanuela Paoloni col bimbo

Emanuela Paoloni col bimbo

Senigallia (Ancona), 27 agosto 2014 - Lo ha voluto chiamare Mosè, anche se si tratta del terzo nome del suo primo figlio nato nei giorni scorsi. Non poteva essere altrimenti, perché come il personaggio biblico, anche il bambino di Emanuela Paoloni in un certo senso è stato salvato dalle acque. Il 3 maggio, quando metà Senigallia è stata inondata dal fango (FOTO E VIDEO) per l’esondazione del fiume Misa, Emanuela come tanti altri suoi concittadini ha pensato subito di mettersi in salvo. E soprattutto di fuggire da quel mare di fanghiglia che arrivava fino al primo piano della sua abitazione perché era al sesto mese di gravidanza. Quindi il suo primo pensiero è andato al figlio che stava aspettando. L’unica maniera per la giovane mamma ed il marito di scappare da quel disastro, è stata di salire sopra un pedalò.

Tutto per fortuna si è risolto nel migliore dei modi anche se Emanuela ed il marito hanno dovuto vivere per alcuni mesi in una sistemazione temporanea, pensando a portare avanti la gravidanza senza traumi. E sabato all’ospedale di Senigallia è nato un bel maschietto di 3 chili e cento grammi. Emanuela ed il marito non hanno avuto alcun dubbio; hanno scelto per lui il nome di Mosè, anzi, Diego Mosè.

Ancora frastornata Emanuela, probabilmente perché non pensava che questa decisione avrebbe creato così tanto clamore. Come è venuta l’idea di chiamare suo figlio Mosè? «Lo abbiamo deciso quel terribile 3 maggio, un giorno che non dimenticheremo tanto facilmente - dice la mamma abbracciando il piccolo Mosè -. Con mio marito ci siamo subito detti che se ci fossimo salvati e non ci sarebbero state conseguenze per il bambino che stavo aspettando, lo avremmo chiamato Mosè. Servirà comunque a ricordare l’esperienza vissuta. Di quel giorno ricordo l’acqua che è improvvisamente arrivata dove abitiamo. Un metro e mezzo e forse più. Ad un certo punto un medico nostro vicino di casa mi ha detto che assolutamente avrei dovuto mettermi in salvo e pensare al bambino. Ci hanno fatto salire sopra un pedalò che è riuscito ad arrivare proprio davanti alla nostra abitazione e con quello siamo riusciti a metterci in salvo. Poi abbiamo vissuto un po’ dai miei genitori in Arcevia perché la casa era da sistemare. Adesso tutto sembra essersi sistemato ed aspettiamo di tornare a casa assieme a Diego Mosè».