Non mandateli in Serie B

Ascoli-Piceno, 5 luglio 2015 - Ora possiamo dirlo senza usare il condizionale: il Teramo ha pagato per vincere a Savona. Su questo, leggendo le carte, non ci sono più dubbi. Ma ora si apre un’altra partita, quella decisiva, ovvero il processo sportivo. E lì l’avvocato del club abruzzese, Eduardo Chiacchio, farà di tutto per tirare fuori da questa storia il presidente Luciano Campitelli, scaricando la responsabilità sul direttore sportivo Marcello Di Giuseppe. Impresa difficile, perché se è vero che Campitelli compare in una sola intercettazione, peraltro non decisiva, la sua ombra è ovunque: c’è lui, secondo gli inquirenti, nella Maserati guidata dal ds Di Giuseppe che esce dal casello di Albisola, il 2 maggio, per l’incontro decisivo con Marco Barghigiani, direttore sportivo del Savona; e c’è lui, sempre secondo gli inquirenti, dentro l’ufficio di fronte al quale staziona Ercole Di Nicola in attesa di riscuotere i soldi. Insomma, pure Campitelli è in una posizione complicata, anche se forse, come si dice in questi casi, manca la pistola fumante. Manca, per intendersi, quello che invece c’è nella vicenda del Catania.

Detto questo, c’è un principio di fondo che va al di là di tutto. Se anche Campitelli riuscisse a cavarsela, e se quindi il Teramo venisse condannato solo per responsabilità oggettiva, non si può promuovere in serie B una società che ha pagato per vincere. Il calcio, soprattutto questo calcio finito nel fango, non se lo può permettere. Peraltro, passerebbe il principio per cui un presidente può tranquillamente dare mandato a un suo dirigente (senza farsi intercettare) di comprare una partita, correndo così il solo rischio di una penalizzazione: la compravendita – che pare già essere abbastanza usuale – rischierebbe di diventare la regola.

E allora resta un’unica possibilità: non mandare in B il Teramo. Non quello di Lapadula e Donnarumma, che sul campo ha dimostrato di valere la cadetteria, ma quello dei suoi dirigenti che non possono e non devono essere promossi.