Ascoli, 8 agosto 2011 - Melania è morta guardando i rami dei pini sopra di sé. E’ morta dissanguata nel bosco delle Casermette, da sola. Ha avuto probabilmente il tempo di capire, di rendersi conto di quello che le stava accadendo. Forse ha pensato alla sua famiglia, alla piccola Vittoria.
Era il pomeriggio del 18 aprile. Quello che è accaduto a Ripe di Civitella nessuno lo sa con certezza. Non oggi.

Ma carabinieri, inquirenti e medici legali hanno ricostruito gli ultimi istanti di vita della donna. Hanno raccolto prove e reperti, hanno fotografato e descritto la scena del crimine. Noi abbiamo visto queste cento terribili immagini. Sono fotografie agghiaccianti come lo è un delitto tanto efferato. Sono crude e feroci come questo omicidio. Ma offrono informazioni inedite e importanti: l’esatta posizione del corpo ritrovato, il disegno preciso dei due inquietanti grovigli di ferite inferte su quel povero corpo già senza vita. Se n’è parlato a lungo, ma solo in termini approssimativi e generici. Quelle macabre firme possono offrire indicazioni preziose sulla personalità dell’assassino. Melania era bella, bellissima. Era giovane ed è venuta nel bosco tranquilla, probabilmente senza immaginare quello che sarebbe accaduto.
Jeans chiari, giubbotto blu e scarpe da ginnastica per una giornata di relax. Ma qui è accaduto qualcosa di diverso ed è scoppiata la violenza. Che ha colpito, travolto e ucciso. Melania, caduta a terra, resta immobile nel bosco con il viso in alto come a guardare le cime degli alberi che ondeggiano al vento. A terra una macchia scura si spande tra la testa e il corpo. Melania è stata trovata in una pineta dove la gente viene per fare i picnic in estate e dove i militari passano quando vanno a sparare al poligono.

Un luogo senza sole e senza rumori. Melania è morta accoltellata: ferita prima alla schiena e poi sull’addome. Trafitta da 23 colpi e da altri nove post mortem. Due quelli letali: uno al fegato ed uno al polmone. Ma prima il suo assassino ha cercato di colpirla alla gola. Forse una mossa militare conosciuta come l’assalto alla sentinella? Non si sa. Su di lei non è riuscita: questo tentativo è andato a vuoto e l’ha solo ferita. Melania ha avuto il tempo (poco) di  fuggire e ha fatto qualche passo allontanandosi dallo chalet di legno dietro il quale si era accucciata. Ma non ce l’ha fatta a scappare. Il suo assassino, più forte e più veloce, l’ha colpita ancora. Fino a quando lei è caduta. Poi l’ha lasciata agonizzante in mezzo agli aghi di pino. E Melania è morta così. Dissanguata.

Ore e ore dopo (forse il 19 o anche il 20 aprile), qualcuno è tornato ad accoltellarla. E questi tagli sono più numerosi e meno profondi. Hanno anche un colore diverso.
Ma il viso resta intatto e bellissimo. Le coltellate  segnano soprattutto le gambe: a destra pare che l’assassino (o il complice) abbia voluto incidere una svastica e a sinistra altri segni verticali che sembrano quasi delle «l» lunghe e stilizzate.

Poi  prende una siringa da insulina, contenente anche eroina, e la infilza sotto il seno. Una messinscena terribile, probabilmente tesa a depistare le indagini. Melania resta composta e bella anche nella morte. Come a guardare il cielo in alto, sopra gli alberi di questo bosco dell’orrore.