Ascoli, 1 gennaio 2014 -  La notizia è esplosa sul web: al boss siciliano Davide Emmanuello – condannato a tre ergastoli e attualmente ristretto in regime di 41 bis – è vietata la lettura del romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco e del quotidiano Il manifesto nel carcere di Ascoli. La fonte, una lettera scritta da Pasquale De Feo, detenuto comune, al quotidiano comunista e pubblicata anche dal blog «Le urla dal silenzio».

 

Per De Feo, il motivo di questi dinieghi sarebbe politico: «nel sistema penitenziario non adorano tutto ciò che si volge a sinistra», scrive poco dopo aver citato il trattamento subito durante il fascismo da Antonio Gramsci, al quale «permettevano di avere quattro libri in cella e, in libertà, di leggere tutti i libri della biblioteca. Parliamo di ottant'anni fa. Siamo nel nel terzo millennio e ci sono ancora le censure».

 

Dal carcere di Ascoli, però, danno una lettura diversa della vicenda e ricordando l'esistenza di un Ordinamento penitenziario che regola la vita dentro le carceri italiane: «i detenuti al 41 bis non hanno accesso a tutto come i detenuti comuni – spiegano –. I libri che richiedono devono rispettare determinati parametri e tutto questo solo ed esclusivamente per motivi di sicurezza, e non certo per il contenuto del testo». Ad esempio, sono interdetti ai detenuti «al carcere duro» tutti i libri con copertina rigida, con scritte di alcun genere all'interno, segnature o segnali che potrebbero trasmettere messaggi cifrati.

 

Ogni 41 bis, tra l'altro, ha un regime di detenzione diverso dagli altri, a seconda della pericolosità sociale: alcuni non hanno accesso, per esempio, ai quotidiani della loro regione di provenienza o ad alcune riviste, «questo per cercare di staccare tutti i contatti con l'esterno. In passato si sono verificati episodi gravissimi di minacce o peggio».

 

La direttrice del carcere di Ascoli, Lucia Di Feliciantonio, sta proprio in queste ore verificando il caso delle presunte letture negate ad Emanuello, e sempre dall'interno della prigione di Ascoli, ad ogni buon conto, si esclude categoricamente che 'Il nome della rosa' e Il Manifesto siano stati vietati per quello che c'è stampato.

m.d.v.