Ascoli, 29 marzo 2014 - «IL TESORO dei Longobardi rappresenterebbe una risorsa dal valore inestimabile per il nostro territorio, soprattutto dal punto di vista storico e turistico. Per questo motivo, la nostra battaglia deve andare avanti, ma i politici locali devono darsi una mossa». Ad intervenire, a pochi giorni dall’inaugurazione del museo dell’Alto Medioevo, con il taglio del nastro che si è svolto proprio una settimana fa, sono stati i componenti dell’associazione «Ascoli Nostra», che ormai da quasi vent’anni si stanno impegnando per riportare ad Ascoli almeno una parte dei reperti che vennero trovati nel corso degli scavi effettuati nel 1893 a Castel Trosino.

In quell’occasione, infatti, vennero alla luce addirittura 239 tombe longobarde, con tanti altri oggetti in oro che attualmente appartengono al ministero della pubblica istruzione. «In un contratto stipulato il 24 maggio del 1893 tra il parroco don Emidio Amadio ed il ministro Martini — hanno ricordato i componenti dell’associazione — veniva stabilito che una parte di questo tesoro sarebbe dovuto essere restituito alla nostra città, considerando il fatto che vennero trovati molti reperti ‘doppioni’. Tale impegno, da parte del ministero, venne ribadito anche in altre lettere successive, ma a distanza di tantissimi anni nessuno ha riconsegnato nulla al territorio ascolano. Sono decenni che ‘Ascoli Nostra’ cerca di svegliare le coscienze di tutti i cittadini riguardo a questo tesoro longobardo, che potrebbe portare nella nostra città tantissimi appassionati di storia e visitatori da ogni parte del mondo».

L’associazione, dunque, ha colto l’occasione per ribadire ancora una volta il proprio impegno a tal proposito, sperando nella collaborazione da parte degli amministratori locali, a cominciare dal sindaco. «Non stiamo facendo nessuna polemica — hanno precisato i membri dell’associazione — ma siamo profondamente delusi per quanto riguarda la mancata riconsegna degli ori di Castel Trosino e il poco interesse che è stato mostrato da parte dei nostri politici».

Matteo Porfiri