Ascoli, viaggio nel carcere di Marino del Tronto

L’attesa dei detenuti e nuove regole. Il tour insieme ai ‘Radicali’: nel 41 bis c’è poca voglia di parlare

Il supercarcere di Marino del Tronto (foto Di Vito)

Il supercarcere di Marino del Tronto (foto Di Vito)

Ascoli, 15 ottobre 2017 - "Poteva andare peggio". La prigione è sempre prigione, ma rispetto a tante situazioni davvero ai limiti della sopravvivenza, dove davvero tutto è «disumano e degradante» come da definizione europea del sistema carcerario italiano, il ‘supercarcere’ di Marino del Tronto viene considerato dagli stessi detenuti maggiormente vivibile rispetto a tanti altri istituti.

Le prime impressioni della delegazione di Radicali Italiani andata in visita al carcere nella mattinata di ieri – con la presenza del Carlino – sono quasi tutti incentrati sul clima straniante che si vive dietro le sbarre. A entrare, accolti dalla direttrice Lucia Di Feliciantonio, sono stati Raffaella Stacciarini, Enzo Gravina, Flavia Mandrelli, Paula Amadio e Roberto Marzialetti. I detenuti comuni passano le loro giornate in una struttura ad anello, al piano terra dell’istituto.

Le celle sono per lo più piccole: una stanza, letti a castello a due o tre piani, un piccolo tavolo, il bagno e la cucina a parte, separati l’uno dall’altra solo da una tenda, quando va bene. Nei colloqui nessuno parla della propria vicenda giudiziaria, la pena si affronta come un fatto della vita, ma qualche lamentela c’è, per lo più sul sistema in generale, o sulla ridotta misura degli spazi. Che la situazione non sia facile si capisce anche dai numeri: nel 2017 si sono registrati 22 atti di autolesionismo (contro i 44 del 2016), 2 tentativi di suicidi (contro i 7 dell’anno prima) e tre aggressioni tra detenuti, stesso numero di un anno fa.

I carcerati hanno accolto la delegazione sempre con una buona predisposizione d’animo, chi alzandosi dal letto dove stava leggendo un romanzo o una rivista, chi interrompendo una partita di scacchi. Parole di ricordo per lo storico leader radicale Marco Pannella. Separati ci sono gli ‘speciali’: autori di crimini a carattere sessuale o su minori, gli ex pentiti che si sono nuovamente messi nei guai. La loro vita è separata da quella del resto dell’istituto, com’è naturale che sia.

Gli spazi comuni sono addobbati da murales, il tentativo di dare colore a un luogo grigio per definizione. La sensazione è di essere in mezzo a un tempo sospeso. Che fa il detenuto? Aspetta. La fine della pena, la sentenza del suo processo (uno su due viene assolto, dicono le statistiche), un permesso, un premio.

Chi non ha nulla da aspettare sono quelli del 41 bis, quelli del ‘carcere duro’. Uno per stanza, con gli agenti penitenziari in servizio permanente effettivo a guardarli. In molti qui non vogliono parlare, c’è chi finge di dormire, chi se la prende per le nuove disposizioni che vietano il passaggio di cibo da una cella all’altra – è anche questo un modo per comunicare –, chi è arrivato da poco e ancora deve abituarsi al fatto di stare recluso in una stanza per ventidue ore al giorno. Nessuno parla della propria vita precedente, del proprio caso in tribunale. In galera quello che è successo fuori sembra contare solo relativamente.