Piccolo Jason, Denny e Katia fanno ricorso in Cassazione

"Processo da rifare, troppi errori"

A PROCESSO Katia Reginella scortata dagli agenti della polizia penitenziaria e a sinistra il marito Denny Pruscino

A PROCESSO Katia Reginella scortata dagli agenti della polizia penitenziaria e a sinistra il marito Denny Pruscino

Ascoli Piceno, 7 novembre 2015 - Una partita che potrebbe essere ancora tutta da giocare. Le difese di Denny Pruscino e di Katia Reginella hanno presentato ricorso in Cassazione. Gli avvocati sono convinti di poter ribaltare il verdetto emesso nei primi due gradi di giudizio nei confronti dei rispettivi assistiti. «Non si tratta di un ‘viaggio della speranza’, di un atto dovuto. Al contrario, l’ampio documento che abbiamo prodotto è dettato dalla convinzione che siano stati commessi grossolani errori nella ricostruzione dei fatti – spiegano gli avvocati di Denny, Vittorio D’Angelo e Felice Franchi –. Chiediamo perciò che venga rifatto il processo, perché Denny non ha ucciso il bambino, che invece è caduto accidentalmente dalle mani della madre».

Per prima cosa, secondo i due legali ci sarebbero incongruenze sulla data della morte. «Finora si è parlato del 24 giugno, testimoni riferiscono che il 29 il bambino era ancora vivo. Noi pensiamo che sia morto il 9 o il 10 luglio». Un altro aspetto tutt’altro che secondario è legato all’aggravante comminata a Pruscino in quanto considerato padre di Jason, anche se è appurato che Katia lo ha avuto in seguito ad una relazione con un altro uomo. «Avendolo Denny riconosciuto – spiegano i legali –, non ci sono dubbi sugli effetti che ne scaturiscono a livello civile. Ma a livello penale questo discorso non regge. Non può essere imposta un’aggravante di parentela. Jason non era sua figlio. Inoltre, che motivo aveva Pruscino di uccidere il bimbo, quando se avesse voluto disfarsene sarebbe bastato chiamare i servizi sociali, che lo avrebbero sicuramente preso con loro, visti i precedenti (leggi la ricostruzione della vicenda a lato)». Se il terzo grado dovesse quantomeno eliminare l’aggravante in questione, si potrebbe scendere anche fino a 21 anni di reclusione. In Appello Denny è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno in quanto considerato l’autore materiale del delitto. 

Katia, invece, non avrebbe fatto niente per impedirlo e per questo è stata condannata prima a 25 e poi a 18 anni, con l’accusa di concorso in omicidio. Il difensore Vincenzo Di Nanna vuole cercare di scagionare la donna indirizzando tutte le responsabilità sul marito, e puntando su presunti errori di procedura. «La celebrazione del processo – afferma il legale – è stata realizzata tramite una franca, grave e reiterata violazione dei principi sanciti dagli articoli 3 e 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo». Di Nanna spiega che «l’accusa è arrivata al punto di procedere all’interrogatorio facendo mimare all’imputata, mediante un bambolotto, la condotta assassina del marito, contro la dichiarata volontà di lei, rendendo così palese la violazione dell’articolo 3 della Convenzione predetta ai danni di una madre affetta da ritardo mentale che, al momento della morte del figlio, non si trovava neppure nella stessa stanza».

L’avvocato teramano contesta inoltre alla Corte D’Appello di aver voluto prendere una «decisione frettolosa», giudicando «i fatti ‘prescindendo’ dal contesto familiare in cui si sono svolti». «La verità – spiega – emerge perfino dalle contraddittorie motivazioni della sentenza, dove si ammette che la Reginella conviveva con Denny subendo condotte violente e maltrattamenti». Per il legale si è alimentato il pregiudizio «della ‘mamma assassina’» e ora non resta che «sperare nel giudizio della Suprema Corte, che, ristabilita verità e giustizia, conduca all’esclusione del suo concorso nell’omicidio del figlioletto».