San Benedetto, arrestata la banda di rapinatori albanesi. Quattro in manette

Il blitz della squadra mobile di Ascoli in riviera

L'auto e gli arnesi da scasso sequestrati alla banda

L'auto e gli arnesi da scasso sequestrati alla banda

di MARCELLO IEZZI

San Benedetto, 9 novembre 2017 - E' finita in manette la banda di malviventi che nelle ultime settimane ha messo a segno colpi in abitazione nelle province di Ascoli, Fermo e Teramo. Il personale della Questura di Ascoli ha scoperto il covo dell'organizzazione malavitosa in un appartamento sul lungomare di Porto d'Ascoli. Gli agenti hanno recuperato 5 autovetture rubate,fra le quali la Nissan rubata l'altra notte a Monteprandone, gioielli e arnesi utilizzati per lo scasso. Al carcere di Marino del tronto sono finiti: Arlin Cera di 32 anni, Mateo Gjeta di 28 anni, Rigels Vlachi di 24 anni e Admir Vata di 25 anni.

Sono accusati di furto aggravato, ricettazione, resistenza a pubblico ufficiale ed altri reati collegati ad attività predatoria. Per arrivare all'individuazione della banda, il personale della Questura di Ascoli ha riprodotto una mappa analitica dei furti commessi nel territorio, tutti con lo stesso modus operanti: la "tecnica del buco" che consiste nel praticare un foro accanto alla serratura. Incrociando i dati dei colpi, con gli orari con cui erano avvenuti, gli investigatori hanno stabilito che la base logistica doveva trovarsi nell'area di San Benedetto e l'hanno trovata sul lungomare di Porto d'Ascoli. Grazie alla collaborazione dei cittadini, gli agenti hanno potuto osservare gli spostamenti dei membri della banda, da abitazioni vicine. Ieri gli agenti in borghese hanno seguito i ladri che avevano acquistato una mola e vari arnesi da scasso.

Durante la notte il blitz nell'alloggio dove hanno sopreso i malviventi appena rientrati a bordo della Nissa Qashqai con tutto il materiale da scasso. Arrestati in flagranza di reato, i quattro giovani albanesi sono stati associati al carcere di Marino del Tronto. In casa avevano la refutiva dei colpi messi a segno nel territorio a cavallo fra Marche e Abruzzo. Ora le indagini proseguono con l'analisi dei telefonini che utilizzavano per comunicare fra di loro.