Terremoto, i feriti: "Abbiamo perso tutto, non vi dimenticate di noi"

Nella clinica San Marco ci sono una quindicina di persone travolte dal sisma: "Crollava ogni cosa, le nostre case non ci sono più" SPECIALE: FOTO E VIDEO - IL CONTO CORRENTE PER AIUTARE LE VITTIME

Una donna ferita dal terremoto viene assistita dai medici all'ospedale

Una donna ferita dal terremoto viene assistita dai medici all'ospedale

Ascoli, 28 agosto 2016 - Da Accumoli a Pescara, passando per Grisciano e le tante frazioni devastate dal terremoto. Le storie si intrecciano anche alla clinica San Marco, dove sono ricoverate una quindicina di persone dopo il sisma che ha travolto Lazio e Marche.

I parenti si incontrano nelle sale di aspetto, famiglie diverse unite nello stesso dramma. Qualche sorriso, poche parole («Per fortuna ci rivediamo e ci incontreremo ancora»). Si conoscono perché in quei paesi ci sono parenti oppure amici, sono una grande famiglia. L’emergenza che ha colpito il nostro territorio ha creato una rete di solidarietà incredibile, anche la clinica privata ascolana, che normalmente collabora con il pronto soccorso, ha dato la massima disponibilità per accogliere terremotati. Per dare una mano a chi ha perso tutto. Claudio Spinelli, responsabile del reparto medicina, ci racconta: «Ci siamo occupati soprattutto di dare un sostegno psicologico a queste persone. Hanno perso tutto, qualcuno ha lasciato sotto le macerie amici e parenti. Abbiamo provato ad aiutarli al di là del punto di vista clinico. In questi giorni abbiamo dimesso più pazienti possibili per liberare spazio a queste persone».

La caposala Francesca Bachetti continua: «Appena arrivate abbiamo pensato a dare a queste persone beni di prima necessità. Non avevano vestiti, non avevano niente. Gli abbiamo dato dei camici, ci continuavano a chiedere dove fossero i loro parenti ma non sapevamo rispondergli. La cosa drammatica è stata rispondere alle telefonate, in tantissimi hanno chiamato per chiedere se da noi ci fossero dei parenti. Un padre cercava il suo bimbo».

Entrando nelle stanze si vedono anziani con il viso segnato. C’è Antonia, rimasta cinque ore sotto le macerie, Maria, testimone del disastro di Accumoli, Fenisia, non vedente trasportata fuori dalla sua casa a Grisciano. Accanto a Luigi, a fargli forza, ci sono anche la moglie e la figlia. Hanno voglia di raccontare quello che hanno passato perché non vogliono che vengano dimenticati. Tutti hanno paura di quello che succederà tra qualche giorno, quando usciranno dalla clinica e non sapranno più dove andare. Quando i riflettori si spegneranno e dovranno fare i conti non solo con un tremendo passato ma anche con un drammatico presente. Queste persone non hanno più una casa, non hanno niente. C’è solo la paura e il ricordo tragico di quei momenti.

«Gridavo aiutatemi aiutatemi, sono qui – racconta Antonia Pala, 84 anni, sepolta per ore nella sua casa a Pescara del Tronto insieme al marito –. Quando mi hanno tirata fuori ho detto loro che mio marito era ancora lì sotto. Dopo altre due ore hanno preso anche lui. Ora è ricoverato ad Ancona. Noi a Pescara di solito siamo ottanta, però adesso con le vacanze era pieno di persone. C’erano tanti bambini. La famiglia di mio cugino è morta sotto le macerie. Noi non abbiamo più niente, mia figlia è vedova e anche a lei è crollata la casa. E’ salva per miracolo. Ora arriverà l’inverno, non so cosa faremo».

In un’altra stanza c’è Maria Classetti, era ad Accumoli in quel maledetto mercoledì. Tiene la mano all’infermiere Daniele: «Ero a casa con mio figlio e stavo andando al bagno. Ho sentito un tonfo tremendo e mi sono messa a urlare ‘Ciccio Ciccio’, così chiamo mio figlio anche se il suo nome è Vincenzo. C’erano tutti i vetri per terra. Poi abbiamo fatto due rampe di scalee siamo usciti fuori. Ci hanno portato in tenda e ci hanno dato tutto, i soccorritori erano angeli. Nel mio paese non c’è più niente. Forse andrò a Roma da una mia lontana parente ma io voglio stare nel mio paese, è lì che ho trascorso tutta la mia vita».

Fenisia Durante ha 81 anni ed è non vedente. Era a Grisciano quando è crollato tutto: «Non so cosa farò, io ho bisogno di una presenza costante al mio fianco. Fate qualcosa».