Il grande tiro a segno

INDAGATO per associazione esterna con la camorra il presidente del Partito Democratico campano, indagato per estorsione, intimidazione, truffa un deputato PD di Siracusa, arrestato il sindaco PD di Lodi per turbativa d’asta. Tre scandali per il PD in una sola settimana. Che si tratti di mere coincidenze non lo pensa nessuno, tanto più che a riavvolgere il nastro degli arresti, delle indagini, dei rinvii a giudizio degli ultimi mesi e degli ultimissimi anni il risultato non cambia. Naturalmente anche esponenti di altri partiti - insieme con manager, funzionari pubblici e imprenditori privati - sono sotto processo; ma al centro del grande tiro a segno giudiziario ormai da tempo spicca il Partito Democratico. Perché? E’ forse diventato la principale sentina di corruzione del Paese, come gridano Di Maio, Di Battista e Salvini o è diventato il bersaglio preferito dei magistrati che fanno politica come argomentano i suoi paladini?

SE FOSSE vera questa seconda ipotesi bisognerebbe domandarsi ancora: perché? Forse il Pd e il suo segretario si sono distinti in attacchi senza requie contro i magistrati? Li minacciano con leggi sgradite? Se si eccettua una blanda revisione della legge sulla responsabilità civile e un accorciamento delle ferie che avvicina, un po’, ma non troppo, i magistrati ai comuni mortali nulla, nell’azione del Pd, autorizza questo sospetto. È vero, il presidente del Consiglio qualche volta ha alzato la voce per affermare il primato della politica e la sua autonomia e ha censurato «la barbarie del giustizialismo» che trasforma un avviso di garanzia in una condanna preventiva. Avrebbe potuto dire di peggio delle correnti dell’Anm che politicizzano e pervertono con il Csm l’indipendenza e l’imparzialità dell’amministrazione della giustizia.

AVREBBE potuto e non l’ha fatto. Soprattutto avrebbe dovuto agire, riformando radicalmente l’elezione del Csm e non l’ha fatto. Avrebbe dovuto, finalmente, varare una riforma che escludesse dal circuito mediatico giudiziario le intercettazioni irrilevanti e non l’ha fatto. È vero, Renzi ha chiesto processi più brevi però sta allungando i termini di prescrizione come chiedono i magistrati. E poi, il suo ministro della Giustizia per vocazione più pompiere che incendiario non ha forse fatto proprie le tre richieste cardinali del nuovo presidente dell’Anm Pier Camillo Davigo? Il resto del Pd, il suo corpaccione articolato e diviso in correnti, gruppi e sottogruppi appena un’indagine comincia, appena scatta l’arresto di un proprio esponente, magari di un sodale, un amico con cui si lavora da decenni, sembra svegliarsi da un sogno fiabesco e ripete come in trance: «abbiamo piena fiducia nell’operato della magistratura». Rare, rarissime le reazioni; a farsi avvocati del Pd sono piuttosto gli alleati di Ncd e l’area verdiniana, come se i democratici, in fondo in fondo, la pensassero come Davigo: «I politici non hanno smesso di rubare: hanno smesso di vergognarsi». Così sembra cominciare il terzo tempo della Repubblica. Travolta la prima con Mani Pulite e la seconda con la condanna di Berlusconi ora tocca ai democratici che vorrebbero fondare la terza. Perché? Perché oggi comandano loro o perché sono peggio di tutti gli altri?