Facebook e WhatsApp, le nuove spie dell’infedeltà coniugale

Gli investigatori: “Social network? La causa prima delle separazioni“

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Ascoli, 3 novembre 2014 - Facebook e WhatsApp: ecco le nuove spie dell’infedeltà coniugale. Un marito che passa troppo tempo al pc, una moglie inseparabile dal suo smartphone, ore e ore in chat. Sono i campanelli d’allarme nell’era digitale. I dubbi partono dai contatti che il coniuge ha nel mondo virtuale e dalle ore di navigazione’ per sbarcare nel timore di un tradimento nel mondo reale.

«E’ un classico spiega Lucio De Santis, 55 anni, dal 2007 investigatore privato con sede a San Benedetto, ex carabiniere . Il mondo dei social network è diventato la causa prima delle separazioni. Capita che ci sia un solo pc in famiglia e magari si lasciano delle tracce che si trasformano in potenziali segnali di infedeltà. Ovviamente noi indaghiamo nel rispetto della privacy. Ad esempio un’eventuale consultazione di social network può esserci ma solo se si tratta di pagine pubbliche. Anche la messaggistica su WhatsApp è diventata una spia. Si rivolgono a noi anche persone sposate da cinque/sei mesi».

«Molti contatti nascono su Facebook e a captare un inizio di possibile infedeltà coniugale è spesso la donna», secondo Daniele Ponziani, 42 anni, collaboratore della C.S.I. Servizi investigativi a San Benedetto, detective dal 2006. E la conferma arriva dal collega Andrea Laurenzi che ha aperto da sei mesi l’agenzia Spy investigazioni’: «Abbiamo assistito a una rivoluzione dell’informazione. Oggi i sospetti, al 90% fondati, nascono dall’uso che si fa di Facebook o più in generale di internet o ancora dello smartphone. Prima con i telefonini si usava il trucchetto della doppia scheda, ora è semplicemente più facile essere scoperti. Ma come investigatori non possiamo violare profili Facebook, né la cronologia dei messaggi su WhatsApp. Sarebbe appropriazione indebita delle informazioni: è illegale».

Pariamo di numeri. «In media ci capitano venti casi di infedeltà coniugale all’anno sui quali indagare. L’età dei clienti è varia: dai venti ai cinquanta anni. Più donne o più uomini? 50% l’uno, 50% l’altra: abbiamo raggiunto la parità anche in quello», conclude ironizzando Laurenzi. «Lo sviluppo dei social network e la possibilità di creare contatti nel mondo virtuale ha influito tantissimo e in maniera negativa nell’ambito delle infedeltà coniugali spiega Giuseppe Castrucci, 38 anni investigatore con sede a Rieti e che ha seguito diversi casi in città e nel Piceno, per il 50% nell’ambito di separazioni per conto di studi legali . Il 90% delle persone che ci contatta, dice di aver trovato riscontri su Facebook o WhatsApp».

In che percentuale i sospetti si rivelano poi fondati? «Nell’ 85% dei casi la moglie ci azzecca», risponde Maurizio De Santis, 61 anni, ex poliziotto, investigatore dal 2002 lavora per conto della Cobra srl. «Tra i segnali che spingono un coniuge a indagare c’è l’uso eccesivo del telefonino: invio di sms piuttosto che chiamate. Anche un atteggiamento diverso in casa unito alla presenza costante su Facebook viene interpretato come un campanello d’allarme. Ci sono mogli che di fronte al dubbio di un tradimento, prima s rivolgono ai maghi, poi agli esorcisti e infine agli investigatori».

Critico e senza mezzi termini Daniele Vitali condanna il mondo dei social network. Ha 35 anni e ha iniziato a lavorare come investigatore quando ne aveva venti; dal 2008 ha la sua agenzia (Davi investigazioni). «La tecnologia ha creato un danno enorme alla coppia. Attualmente c’è la volontà di un controllo spasmodico nei confronti dell’altra persona. Hanno un dubbio, vanno in fissa e vogliono scoprire a tutti i costi cosa c’è dietro. Ma spesso le donne, anche dopo la certezza di un tradimento, non si separano. Salvo essere recidivo». Ma non sempre, racconta Vitali, viene richiesto di seguire il coniuge: «C’è anche chi fa seguire il proprio amante».