Omicidio Sarchiè: la versione di Farina al vaglio dei magistrati

L’indagato: "Non troveranno la pistola perché non ce l’ho io" FOTO

Una delle fiaccolate in memoria di Pietro Sarchiè (Foto Sgattoni)

Una delle fiaccolate in memoria di Pietro Sarchiè (Foto Sgattoni)

Ascoli, 3 marzo 2015 - Saranno condotti degli accertamenti in questi giorni sulla versione di Giuseppe Farina, in merito all’omicidio di Pietro Sarchiè, ucciso il 18 giugno. Le dichiarazioni e le indagini sono state secretate dalla procura. Dopo l’arresto Salvatore Farina, che in questi ultimi sette mesi aveva progettato di raggiungere la fidanzata nel nord Europa, ha pianto più volte. Anche durante l’interrogatorio di garanzia non ha voluto dire nulla, ma ha pianto ancora. Il padre Giuseppe invece, senza prima consultarsi con gli avvocati difensori Marco Massei e Mauro Riccioni, ha detto che «non ce la faceva più» e voleva dire tutta la verità. La sua versione, data giovedì in carcere davanti ai sostituti procuratori Claudio Rastrelli e Stefania Ciccioli, è che lui e un altro – si tratta di un catanese come lui, suo amico, residente sempre nell’alto Maceratese – avrebbero organizzato per quasi tre settimane un agguato, finalizzato però solo a spaventare il sambenedettese. Ma poi l’altro avrebbe estratto una pistola, un revolver, e sarebbe partito un colpo. «A me non hanno trovato la pistola – ha detto Giuseppe Farina – e non potranno trovarla mai perché non l’ho mai avuta. Era l’altro ad averla, e l’ha usata senza che io ne sapessi niente». A quel punto i due, sul furgone di Sarchiè, sarebbero andati a Valle dei Grilli a San Severino. «Io pensavo lo avremmo legato da qualche parte, e invece mentre parcheggiavo meglio il furgone ho visto che l’altro gli sparava una serie di colpi, e Sarchiè che cadeva a terra morto».

Estraneo a tutto il figlio Salvatore, che quando avrebbe saputo cosa era successo si sarebbe allontanato di corsa. Il padre però ha precisato che il ragazzo era salito con lui nel furgone, per poi scenderne di corsa dopo che lui lo aveva informato. Da San Severino il ragazzo era andato a vendere a Castelraimondo il pesce surgelato comprato poco prima. Ma questo racconto sembra poco credibile agli inquirenti, alla luce di tutto quello che hanno ricostruito in questi sette mesi di indagini su quei giorni tra giugno e luglio. Ad esempio, alcuni testimoni hanno visto che a Castelraimondo Salvatore aveva delle cassette di pesce gialle, identiche a quelle di Farina. E dai cellulari emerge che il ragazzo seguiva a distanza il furgone del sambenedettese. Comunque, alcune indagini saranno svolte per vedere cosa possa esserci di vero nella ricostruzione di Farina, per altro non avallata dal figlio che continua ad avvalersi della facoltà di non rispondere. Se lo chiederà, Giuseppe Farina verrà ascoltato dal procuratore capo Giovanni Giorgio e dai sostituti Rastrelli e Ciccioli. Intanto padre e figlio restano in carcere a Camerino. Hanno chiesto una cella insieme, perché Giuseppe, investito nelle scorse settimane, si muove male e si fa aiutare nei movimenti da Salvatore.