Omicidio Sarchiè, la confessione di Farina: «Ho sparato io, mio figlio non c’entra»

Il delitto del commerciante di pesce sambenedettese è avvenuto poco meno di un anno fa, il 18 giugno di Paola Pagnanelli

Ascoli Piceno, Pietro Sarchiè

Ascoli Piceno, Pietro Sarchiè

San Benedetto (Ascoli), 12 giugno 2015 - «Confesso: sono stato io a sparare». Così mercoledì Giuseppe Farina ha ammesso le sue responsabilità in merito all’omicidio di Pietro Sarchiè, il commerciante di pesce sambenedettese ucciso poco meno di un anno fa, il 18 giugno. Farina, 41 anni, originario di Catania ma da anni residente a Seppio di Pioraco, nell’alto Maceratese, è imputato per quel delitto insieme con il figlio Salvatore, 20 anni.

Entrambi sono stati arrestati il 24 febbraio, e ora si trovano il padre in carcere ad Ascoli, e il figlio a Camerino, dove entrambi vennero portati all’inizio. Mercoledì dunque in carcere ad Ascoli, assistito dagli avvocati Marco Massei e Mauro Riccioni, Giuseppe Farina ha reso una confessione davanti al procuratore capo di Macerata Giovanni Giorgio e ai sostituti Stefania Ciccioli e Claudio Rastrelli, dando una nuova versione di quanto sarebbe avvenuto un anno fa.

Ha ammesso di essere stato lui a sparare e a uccidere il sambenedettese, e di aver poi preso il suo furgone per nascondere il corpo a Valle dei Grilli di San Severino. Ha aggiunto che il figlio era con lui, ma senza avere alcun ruolo nell’omicidio: il padre lo avrebbe coinvolto suo malgrado. La stessa versione ha confermato, ieri mattina, il figlio Salvatore, negando di aver responsabilità nella vicenda. Entrambi non hanno fornito molti dettagli sui fatti, limitandosi a spostare di qualche chilometro il punto in cui sarebbe avvenuto l’agguato al sambenedettese. Giuseppe Farina aveva già fatto una parziale confessione, pochi giorni dopo l’arresto, dicendo però una serie di cose risultate poi false.

Aveva detto di aver organizzato una sorta di intimidazione con Santo Seminara, imprenditore edile di Castelraimondo ora ai domiciliari con il permesso di andare a lavorare e imputato di favoreggiamento; l’idea era di spaventarlo, ma Seminara all’improvviso avrebbe estratto una pistola e avrebbe fatto fuoco. Lungo la strada per San Severino, avrebbe incontrato il figlio Salvatore, che sarebbe salito sul furgone e poi, saputo cosa era accaduto, se ne sarebbe andato. Per queste dichiarazioni, risultate del tutto prive di fondamento, Giuseppe Farina è stato anche indagato per calunnia.

A questo punto, il padre ha ammesso le sue responsabilità e ha tentato di scagionare il figlio. Sarà da vedere cosa ne penserà il giudice Chiara Minerva di Macerata davanti alla quale, il prossimo 8 luglio, i Farina saranno processati con il rito abbreviato. Con loro sotto processo sarà anche Domenico Torresi, finito anche lui ai domiciliari per l’accusa di favoreggiamento.

Sempre per l’accusa di favoreggiamento, per aver ospitato nel suo magazzino i Farina che distruggevano il furgone della vittima, seminara sarà invece processato in corte d’assise il primo luglio.

Paola Pagnanelli