Delitto di Melania, Parolisi in Cassazione. Pg: "Confermare condanna a 30 anni"

La Cassazione si pronuncerà sul procedimento che vede imputato l'ex caporalmaggiore dell'esercito per l'omicidio della moglie. La richiesta del procuratore generale. La difesa: "Eccesso accusatorio e accanimento mediatico"

Salvatore Parolisi, condannato per l’omicidio della moglie, Melania Rea (Foto Labolognese)

Salvatore Parolisi, condannato per l’omicidio della moglie, Melania Rea (Foto Labolognese)

Roma, 10 febbraio 2015 - "Va confermata la condanna a trenta anni di reclusione inflitta all'ex caporal maggiore dell'Esercito, Salvatore Parolisi", accusato dell'omicidio della moglie Melania Rea. E' quanto ha chiesto il sostituto pg di Cassazione, Maria Giuseppina Fodaroni, ai giudici della prima sezione penale della Suprema Corte, chiamati a decidere se accogliere o meno il ricorso dell'imputato contro la sentenza emessa il 30 settembre 2013 dalla Corte d'assise d'appello dell'Aquila.

Parolisi è l'unico imputato per l'omicidio della moglie, avvenuto nel boschetto delle Casermette, a Ripe di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo, il 18 aprile del 2011: il corpo della donna venne ritrovato due giorni dopo la sua scomparsa, grazie ad una telefonata anonima alla polizia in cui si annunciava il ritrovamento di un cadavere seminudo e vilipeso. Per Parolisi, ex caporal maggiore dell'Esercito di stanza al 235esimo Reggimento Piceno, il gup di Teramo, in primo grado, aveva disposto la condanna all'ergastolo, poi, riformata in appello con i trent'anni di carcere. Il pg Fodaroni ha chiesto il rigetto del ricorso presentato dalla difesa contro il verdetto di secondo grado. La decisione dei supremi giudici, presieduti da Umberto Giordano, e' attesa per questa sera.

Un omicidio commesso "per dolo d'impeto", con una "esplosione di inaudita violenza e ferocia nei confronti di una persona inerme, aggredita alle spalle". Così il sostituto pg di Cassazione, Maria Giuseppina Fodaroni, ha ricostruito l'assassinio di Melania Rea. "Ben 35 coltellate con un numero molto consistente di colpi da dietro, la vittima inseguita, sopraffatta, che riceve una serie di coltellate ancora mentre si trova già a terra".

Questa "inaudita violenza - ha rilevato il magistrato - palesa la volontà di uccidere e di infierire: la donna viene lasciata morire dissanguata, in un luogo in cui, nelle immediate vicinanze, si trovava la bambina, loro figlia". Il pg della Suprema Corte, dunque, ha osservato che la sentenza d'appello ha composto "correttamente un mosaico indiziario" che "porta univocamente a Parolisi" il quale "si era infilato in un imbuto" tra la moglie e l'amante "da cui era difficile uscire". Le condotte dell'imputato all'epoca del fatto, secondo il pg, non fanno che "essere espressive del suo coinvolgimento": prima "ha solo un'ora dall'allontanamento della moglie - ha sottolineato il magistrato - afferma 'me l'hanno ammazzata', poi, man mano che la donna non si trova, Parolisi si calma.

Nei giorni successivi "farà di tutto per evitare che i colleghi esperti di quella zona facciano ricerche e quando il cadavere viene ritrovato, egli mostra di sapere esattamente il punto, dicendo che gli sarebbe stato mostrato in foto da un amico che, però, non aveva mai scattato la foto". Valenza indiziaria "significativa", per il sostituto pg, ha anche "il fallimento dell'alibi dell'imputato" e il vilipendio di cadavere, sul quale vennero incise una svastica e una gabbia, è stata "un'operazione di depistaggio che solo il responsabile del delitto poteva fare". Fodaroni, infine, ha ritenuto corretto anche il riconoscimento delle aggravanti della crudeltà e della minorata difesa.

 

La difesa: "Eccesso accusatorio e accanimento mediatico"

"Nei confronti di Salvatore Parolisi c'è stato un eccesso accusatorio dovuto anche alle descrizioni che ne hanno fatto i media definendolo un marito infedele e bugiardo, uno scansafatiche al lavoro, sulla testa del quale sono fioccate molte circostanze aggravanti senza un vero elemento di accusa". Lo ha sottolineato nella sua arringa l'avvocato Titta Madia che ha difeso in Cassazione l'ex caporalmaggiore dell'esercito Salvatore Parolisi insieme all'avvocato Walter Biscotti.

I legali hanno insistito sulla necessità di riascoltare il teste Rivelli, gestore del chiosco non lontano dal quale è stato trovato il cadavere di Melania Rea. Secondo i difensori di Parolisi, il teste avrebbe ritrattato la deposizione iniziale nella quale diceva di aver visto Melania allontanarsi da sola, sotto le pressioni della polizia giudiziaria. Madia e Biscotti inoltre hanno contestato, come è già avvenuto anche nei precedenti gradi del processo, i risultati delle perizie condotte sulla salma della vittima e hanno puntato il dito sulla circostanza che è rimasta anonima la persona che ha detto alla polizia dove si trovava il cadavere. La linea difensiva ritiene che il delitto non sia stato opera di Parolisi e che bisogna seguire altre piste.