Ecco i profughi ospitati dal vescovo. "Le parrocchie facciano come me"

Vengono da Senegal, Mali e Nigeria. E vivranno accanto a D’Ercole

Il vescovo Giovanni D’Ercole con i profughi (foto La Bolognese)

Il vescovo Giovanni D’Ercole con i profughi (foto La Bolognese)

Ascoli Piceno, 12 ottobre 2015 - Si chiamano Calistous, Mamadou, Ousmane, Kinsley e Amadou. Hanno dai 23 ai 28 anni. Sono i cinque profughi che da ieri sono ospitati negli appartamenti della curia. Vengono dal Senegal, dal Mali, dalla Nigeria. Alcuni sono in Italia da diversi mesi, altri da poche settimane. Scappati dalla fame e dalla guerra, sono approdati sulle coste siciliane dopo 5 giorni di navigazione sui barconi.

«Quando ero in Libia sono stato messo in prigione – spiega uno di loro -, ci sono rimasto per cinque mesi poi sono riuscito a scappare». Sorridono, un po’ emozionati per ritrovarsi da un momento all’altro al centro dell’attenzione, sotto i flash dei fotografi. Hanno già imparato qualche parola di italiano, conoscono un po’ di inglese o di francese. La comunicazione è l’ultimo dei problemi. Si fanno capire e capiscono. «Si sono già integrati con noi, speriamo possano farlo anche con il resto della comunità», racconta il vescovo Giovanni D’Ercole, che vive proprio accanto, in un appartamento attiguo separato solo da un vano di passaggio e da una porta.

«Possono fare come vogliono, se vogliono entrare separatamente c’è anche un altro ingresso. I primi giorni mangeranno con noi, poi saranno indipendenti». La mattina vengono impiegati in qualche lavoretto, il pomeriggio vanno alla scuola di prima alfabetizzazione di lingua italiana, che al momento è ospitata alla «Luciani» e poi verrà spostata alle «Industriali». L’abitazione è più che dignitosa: due camere da letto, un bagno, una cucina e un piccolo salottino con la televisione.

Quello del vescovo è un atto di accoglienza concreto, «ma prima di tutto un segnale – spiega lo stesso D’Ercole –. Sentivo la necessità di dare l’esempio. Speriamo che altre parrocchie seguano la stessa strada, magari iniziando ad ospitarli a pranzo o a cena». Il prefetto Graziella Patrizi li saluta uno per uno e ci scambia qualche parola. «Per rendere possibile una vera integrazione è indispensabile la conoscenza – dice – . La paura e la diffidenza derivano proprio dalla mancanza di un rapporto. Soltanto entrandoci in relazione la gente prende coraggio». L’obiettivo è quello di distribuirli nel territorio in piccoli gruppi, evitando di «ghettizzarli» in un’unica struttura.

L’Unitalsi di occuperà di dare assistenza ai cinque profughi ospitati negli appartamenti del vescovo attraverso un mediatore che li seguirà durante il giorno. Il primo periodo verranno accompagnati nei posti di lavoro o a scuola. Poi impareranno a muoversi da soli, a cucinare e tutto il resto. «Sanno che per qualsiasi problema possono rivolgersi a me», aggiunge D’Ercole. All’abitazione si accede dal cancello che dà su Lungocastellano. Fuori c’è un piccolo giardino dove si affacciano anche gli appartamenti dei seminaristi. Il loro è al primo piano: si chiama casa «Betlemme».