San Benedetto del Tronto (Ascoli), 25 gennaio 2014 - Lo chiamavano Mister Bazooka, ma nel 1985, quando fu processato ad Ancona per l’uccisione di Roberto Peci, più che un’arma letale sembrava una belva feroce. Dietro le sbarre. Oggi le sbarre le hanno aperte, ma di pentimento Giovanni Senzani, ex capo delle Brigate Rosse non vuole sentir parlare. Anche se si è macchiato di terribili omicidi, fra cui quello, efferato e inumano, del giovane antennista di San Benedetto del Tronto, che aveva l’unica colpa di essere fratello del più noto Patrizio «l’infame».

Pure, Senzani ora racconta a Panorama che dopo la morte della moglie ha compreso il dolore dell’anima. E questo suo parlare di un sentimento che deve aver conosciuto molto tardi, ha riaperto ferite mai rimarginate in un’altra delle sue vittime, la più tenera, la figlia di Roberto Peci, quell’operaio di appena 25 anni giustiziato senza pietà nel 1981. Roberta, nata dopo la morte del padre, ha cercato per anni la verità, ma ora dev’essere stanca di sentir parlare l’aguzzino. E scrive su Facebook: «Le volevo dire signor S. o Mister Bazooka che io ci sono nata con questo dolore nel cuore e nell’anima, non ho dovuto aspettare di vedere morire una persona cara di vecchiaia. Ci ha pensato lei a farmi nascere orfana, uccidendo un uomo la cui unica colpa era quella di avere un fratello ‘infame’. Ho aspettato anni per incontrarla, non si preoccupi sono molto paziente prima o poi la ruota del destino girerà in mio favore, così da poterla guardare, scrutarla negli occhi e vedere se anche lei ha un’anima».

Roberta, che un paio di anni or sono è stata protagonista di un film documentario girato dal sambenedettese Luigi Maria Perotti e intitolato «La via di mio padre», (seguito de «L’infame e suo fratello» realizzato qualche tempo prima), aveva scritto a Senzani chiedendo un incontro, ma questo incontro pare non ci sia mai stato, anche se l’immagine finale del doc di Perotti la mostra mentre sembra si avvii verso l’atteso appuntamento. Della storia di Roberto Peci e di sua figlia si era occupato anche Walter Veltroni nel suo libro «L’inizio del buio». Ma certe esigenze umane sembrano non toccare Senzani che a proposito della morte della moglie dice: «Solo quando è morta mia moglie ho capito che la morte è uguale per tutti, sia quando la subisci sia quando la dai. E allora ho sentito il dolore di tutti quelli che la morte l’avevano incontrata per mano mia». A proposito di perdono, sempre nell’intervista afferma: «Dovrei dire: scusatemi, ho ucciso? Io non credo nel perdono, non mi permetterei mai di chiedere perdono, mi sembra un’offesa. Mi sembra pornografico andare davanti a qualcuno, cui hai ucciso il padre o il marito, e chiedere perdono».

La storia della famiglia Peci è entrata a far parte del dna di tutti i sambenedettesi che, a differenza di quanto pensa Senzani, hanno cercato di perdonare. La città, infatti nel maggio del 2011, ha deciso di chiudere la lunga parentesi degli anni di piombo di cui era stata tragicamente protagonista, proprio grazie alla determinazione di questa ragazza che ha chiesto e ottenuto di far intitolare al padre la stessa via nella quale, il 19 giugno del 1981, fu rapito dalle braccia della moglie incinta. L’uomo fu poi torturato e, infine, ucciso senza pietà sotto gli occhi di una telecamera. Giovanni Senzani, condannato a sette ergastoli è stato scarcerato dopo 17 anni di galera. Dal 2010 è tornato in libertà. E parla.

Grazia Mandrelli