Ascoli, ha ragione capitan Giorgi!

Dopo il gol del pari è stato l'unico a chiedere ai suoi di velocizzare la ripresa del match e ricercare la vittoria. Da sottolineare anche un'istantanea di Mengoni

I giocatori dell'Ascoli a fine partita (Lapresse)

I giocatori dell'Ascoli a fine partita (Lapresse)

Ascoli, 6 maggio 2017 - Le partite di calcio sono centinaia, forse migliaia, di istantanee che si intervallano. Si accavallano. A volte si infrangono una sull'altra per rendere certo ciò che è incerto fino a un secondo prima. O viceversa. Per sgretolare quello che un attimo sembra intoccabile e due secondi dopo è crollato. Del pomeriggio di Ascoli-Benevento, delle migliaia di istantanee di Ascoli-Benevento, voglio salvarne sul mio desktop due. Nessuna delle due, seppur verificatesi sul campo, è di "solo calcio". Mancano quindici-venti minuti al termine della partita, gli Stregoni campani girano la palla. Vedo uno del Picchio che, nonostante la stazza, va a contrastare uno, due, tre avversari. E non al limite dell'area, dove in genere gravita "per lavoro". E' a centrocampo. Ed è anche fuori posizione, una posizione rischiosissima. Perché dietro, al suo posto, non c'è nessuno a tappare il buco. Un contrasto in posizione centrale, dentro al cerchio, palla verso l'esterno. Stop del giallorosso vicino alla linea, un altro contrasto pulito. Avrebbe pressato e contrastato pure sua moglie Cecilia, Andrea Mengoni, se lei avesse vestito la maglia del Benevento in tribuna centrale. Nonostante un ginocchio che fa malissimo da due settimane. Questa è un'istantanea che è bene mettere a referto per far capire che se uno gioca nell'Ascoli, deve giocare "da Ascoli". Ovvero, a volte, serve buttarsi tutto e non solo col "cuore" oltre l'ostacolo. Perché il cuore, a volte, non basta. Passa qualche minuto. I bianconeri ottengono un pari quasi insperato con una mezza carambola. Esultano in maniera scomposta. Chi va sotto la curva. Chi in panchina ad abbracciare staff e compagni. In tre (in quegli attimi concitati riconosco solo Cacia) si muovono passeggiando verso la porta avversaria. Senza troppa enfasi. Senza fretta. Proprio Cacia prende la palla. Mi dico: "Ora scatta verso il centrocampo, mancano almeno altri tre o quattro minuti, l'Ascoli in undici contro nove può vincerla". Macché. Pian pianino riprendono la strada del dischetto. Senza fretta. Senza enfasi. Uno, solo uno, è indemoniato già prima che il Bomberissimo faccia sua la sfera. Ha la felpa e i pantaloncini. E' stato sostituito qualche minuto prima. Si dimena in mezzo al campo invece di esultare. Col braccio si agita e con la voce pure. Urla di sbrigarsi, di rimettere quella palla a centrocampo, perché la partita si può ancora vincere. Ecco. Quel dimenarsi dell'unico a farlo, mi ha fatto pensare quanto quello che sia il suo maggior pregio, a volte, si dimostri il suo più grande tallone d'Achille. Sì, quel giocatore a fare il diavolo a quattro per far "correre" i suoi a riprendere il gioco è Luigi Giorgi. Tanto tifoso, molto capitano, poco lucido in alcuni casi. Al di là della sua prova, davvero incolore, mi piace pensare che sì, almeno lui, ha capito che un pareggio, oggi, è comunque un risultato deludente. Per quest'Ascoli per l'Ascoli. Una squadra che non può e non deve abbassare la guardia. Perché sta davvero, davvero, rischiando grosso...