Ascoli, Cacia: "Vi racconto la verità"

L’ex bianconero in esclusiva al Carlino: «Un progetto senza chiarezza, noi senatori via perché non volevano gente di personalità»

Daniele Cacia con la maglia dell’Ascoli

Daniele Cacia con la maglia dell’Ascoli

Ascoli, 15 novembre 2017 - Due mesi e mezzo fa, il 31 agosto alle 20 circa, non prima di aver ottenuto una (legittima) sostanziosa buonuscita dall’Ascoli, Daniele Cacia firmava il contratto che lo legava al Cesena. Addio Picchio, addio record di miglior marcatore della B con i bianconeri piceni, addio stadio Del Duca.

Con i romagnoli Cacia, al momento infortunato, ha messo a segno due gol toccando dunque quota 133: altre 2 marcature e siederà sullo stesso trono di Stefan Schwoch (re dei bomber cadetti), un altro ancora e stabilirà il nuovo record di categoria. Un attaccante con le sue caratteristiche, da affiancare (o sostituire, in casi come quello di domenica scorsa) a Favilli, oggi servirebbe come il pane. E pensare che è lui stesso a dire: «Avrei voluto chiudere la carriera ad Ascoli e battere il record con quella maglia, ma non mi è stato concesso».

Da pilastro in campo e nello spogliatoio ad ‘appestato’ tenuto nascosto dalla società fino alla cessione. Come è stato possibile?

«Innanzitutto ringrazio il ds Marroccu per avermi dato la possibilità di approdare all’Ascoli e conoscere da un lato una piazza devastante come quella bianconera e dall’altro un dirigente, lui, con gli ‘attributi quadrati’, non un aziendalista e raccomandato come ce ne sono tanti in giro. Poi, passando al ‘periodo caldo’ che ha preceduto la mia cessione, posso dire che a Bari, dove iniziarono i problemi, chiesi solo chiarezza, per l’ennesima volta. Tutto qui. La successiva mancata convocazione per il ritiro fu solo la prima parte di un disegno che ancora oggi non ho capito da chi fosse orchestrato, anche perché cambiavano giornalmente gli interlocutori».

Va bene, ma almeno la ragione della cessione l’ha mai capita?

«No, perché cambiavano in continuazione anche quelle. Una volta sentivo parlare di motivi economici, poi tecnici, addirittura comportamentali e quando chiedevo chiarezza l’unico ritornello era lo scaricabarile delle responsabilità verso il presidente. Oggi, a freddo e da esterno, vedendo tutto quello che sta succedendo presumo che il nostro allontanamento fosse legato alla necessità di ridurre il confronto interno con professionisti esperti, di carisma e personalità».

Dopo la sua cessione Bellini disse, riferito alla buonuscita, che lei ‘voleva sempre più soldi’. A distanza di tempo come commenta queste affermazioni?

«Sorrido. E mi unisco a tutte le persone che in questo momento invitano il presidente ad essere più presente ad Ascoli per vedere le cose con i propri occhi. La realtà è ben diversa da quella che gli raccontano certe persone».

Più volte, dopo il suo addio, lei ha usato l’espressione ‘Certe cose le ho viste solo ad Ascoli’. Che cosa intendeva?

«Sono sul viale del tramonto e vedo il mio futuro come ds. Avendo avuto in passato buoni maestri, credo di aver capito come muovermi in questo mondo. Vi assicuro che negli ultimi mesi ad Ascoli ho imparato ciò che non dovrò mai fare. Avete visto la situazione Perez come è stata gestita? Lasciamo stare».

Per la prima volta in tre anni l’Ascoli è ultimo in classifica da solo: se lo aspettava?

«Ho grande rispetto per i miei ex compagni e i tifosi. Sono molto dispiaciuto per loro, ma c’è chi ha seminato vento e ora...».

I tifosi hanno messo nel mirino il dirigente Cardinaletti: anche secondo lei è l’unico responsabile o ce ne sono altri?

«Personalmente ho ricevuto poca chiarezza da più di un dirigente».

Per tirarsi fuori da un momento come questo cosa serve più di tutto?

«Non posso parlare del presente, ma vi posso dire quella che è stata la ricetta delle due salvezze che ho vissuto lì: zoccolo duro nello spogliatoio formato da uomini veri e coesione squadra-tifosi».

Anche per lei non è una stagione facile...

«Come detto, io non volevo andare via. Ho voltato pagina e sono arrivato in una società ugualmente importante, con un bello stadio, una tifoseria calda e una società che stimo molto. Alla prima da titolare ho messo a segno una doppietta, poi mi sono infortunato anche a causa della preparazione sbagliata che sono stato costretto a fare ad Ascoli».

Italia fuori dai mondiali, colpa solo di Ventura o di un sistema che non funziona più?

«Riduttivo dare la colpa all’allenatore. In Italia le cose sono mal impostate da tantissimo tempo e oggi ci arriva il conto, salatissimo, di anni di scelte sbagliate. Mi riferisco a giocatori italiani sottovalutati, allo spazio dato a tanti che non meritano e ai contributi economici che i club importanti garantiscono a quelli più piccoli imponendo, però, l’utilizzo dei propri giovani, spesso stranieri. Questo uccide i vivai di provincia. Lunedì sera ho sentito Jorginho, era a pezzi. Io stesso tutt’ora non riesco ancora a crederci».

Il suo saluto ai tifosi?

«Gli dico di non mollare e di continuare a sostenere chi va in campo. Da ultimo vorrei ringraziare anche voi del Carlino per essere stati gli unici, la scorsa estate, ad aver scritto sempre la verità su me, Giorgi, Perez e Bianchi».

Gigi Mancini