E’ morto Amato Andalò, il Custode del basket bolognese

Si è spento a 88 anni l'uomo che per più di trent'anni è stato testimone oculare dei momenti epici del PalaDozza e del PalaMalaguti, dagli scudetti della Virtus al concerto dei Rolling Stones

Amato Andalò (a destra) premiato da Serafini

Amato Andalò (a destra) premiato da Serafini

Bologna, 26 gennaio 2016 - Un pezzo di storia che se ne va. Un pezzo di storia importante, perché Amato Andalò, che ci ha lasciato oggi pomeriggio, a 88 anni, ha letto le pagine più belle che si sono alternate al palasport di Bologna dal 1966 al 1991.

Amato, che lascia i quattro figli Roberto, Luciano, Emma e Francesco, aveva pianto non più tardi di tre mesi fa la scomparsa di Liliana, la moglie, la compagna e la spalla di una vita. Domenica Amato si era sentito male, i figli lo avevano portato all’ospedale Maggiore. Situazione critica, terapia intensiva, ma il peggio, lunedì, pareva passato. Poi una ricaduta: il suo cuore, provato dalla scomparsa di Liliana, ha detto basta.

E con Amato Bologna perde un testimone oculare di alcuni dei momenti (alcuni belli, altri quasi drammatici) della Bologna degli anni Settanta e Ottanta. Gli scudetti della Virtus pallacanestro, i derby con la Fortitudo. E ancora la rinascita del Gira, il tricolore del volley con la Zinella. Il calcio a cinque di alcuni assi del mondo del pallone, i concerti di Peter Gabriel e dei Rolling Stones. Ma anche la contestazione studentesca (i cancelli divelti per assistere gratuitamente ai concerti, come accadde nel maggio 1982 per la performance dei Jethro Tull), le assemblee di partito.

Tutto e il contrario di tutto. E lui, Amato Andalò, armato solo del suo grembiulone nero, sapeva trovare una risposta per tutti. Una soluzione a qualsiasi problema. Perché gli avevano affidato la custodia del PalaDozza. E lui, questo compito, lo aveva svolto con passione ed energia, con piglio e determinazione. E il PalaDozza era diventato l’impianto più bello d’Italia, il salotto buono di Bologna, a metà tra piazza Maggiore e le Due Torri, la basilica di San Petronio e San Luca. Pur non avendo la stessa anzianità di servizio, il PalaDozza, inaugurato nel 1956, era entrato nel cuore dei bolognesi.

Venticinque anni di servizio, poi il passaggio al PalaMalaguti di Casalecchio, prima del ritiro definitivo nella sua Mongardino. Anche senza il grembiulone nero, Amato aveva conservato l’espressione di sempre. Quella di indistruttibile e pronto a tutto. Come quella volta che smontò e rimontò un canestro rotto in sei minuti e venti secondi. “E senza fare le prove come fanno alla Ferrari per i pit stop”, se la rideva Andalò.

Aveva creato anche una sua squadra di fedelissimi. E in un’epoca dove è facile dimenticare tutto, Amato, al contrario, poteva raccontare mille aneddoti. Mille segreti. In realtà la sua grandezza è stata anche in questo: essere stato testimone di mille eventi. Ma testimone discreto. Perché le storie che si potevano raccontare, le raccontava. Le altre no. Le ha tenute per sé, condivise con i protagonisti di un’epoca. Un personaggio come Amato Andalò ci mancherà tanto.

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