Autoscatti e illusioni

Bologna, 1 agosto 2014 - Se non avete letto o sentito dire almeno una volta che Bologna è la città del contemporaneo, correte a informarvi subito. Operazione facile, poiché lo slogan circola come una parola d’ordine. Bologna città del contemporaneo, laboratorio internazionale dello sperimentare, dell’esplorare il nuovo, dell’alimentare la creatività più radciale. Arte. Rock. Fibre ottiche. Futuro smart. This is Bologna, anche a uso dei turisti.

Sicché io, che a tutta prima mi sono stupito di trovare l’ex Dotta e Grassa, passata dalle ricette della nonna alle tagliatelle 2.0, al terzo posto tra le città italiane in fatto di selfie (lo sapete, la febbre dell’autoritratto scattato con il telefonino), ci ho riflettuto e dopo un po’ ho cacciato la meraviglia fra la carta straccia. Città di studenti, di giovani, di gente informata. Naturale. Torno a dire, c’è forse da sorprendersi o, peggio, da scandalizzarsi, in un posto dove si è invitati a far colazione con pane e innovazione? Volendo, poi, fare selfie è anche un gesto grazioso se ti capita di assistere. Davanti alle Due Torri, al balletto di quelle mani che si agitano, reggendo apparecchi spesso invisibili, come in un gaio gioco collettivo.

Dopo di che, senza inciampare nel pericolosissimo dualismo giovani-anziani, resta da valutare la quota di significato di una moda che non ha più nulla a che fare con l’autoscatto losco e impudico di mezzo secolo fa. E tuttavia, come in quelli, anche qui c’è la solitudine all’origine. Ci sei tu che esprimi la tua voglia di esserci. E non c’è nessun altro. Poi allarghi la scena e fai comparire due amiche o la facciata di San Petronio. E’ già un passo, sei qualcuno. Adesso, amico selfista, una sciagurata legge permette di fotografare anche nei musei; ti vedrai sorridente con alle spalle addirittura un Guido Reni o un Carracci.

Non è una figata? Ma l’ascesa dei selfisti è una scalata nel vuoto esistenziale prima che virtuale, una rivincita nell’epoca che scappa da qualsiasi analisi critica, dal contatto con la realtà, dalla relazione con l’altro, per un individualismo narcisistico e floscio, trendy e cocciuto. Selfizzo ergo sum. Il selfie è la sintesi fotografica di una finzione. Non siamo più nell’era dell’apparire, bensì in quella dell’immagine falsificata, della messa in scena di sé, di un ulteriore, profondo allontanamento dalla sfera interiore.

Ha scritto lo psicanalista Massimo Recalcati: «Se la propria vita ha bisogno dell’autoscatto per certificarsi di esistere è perché essa porta con sé un dubbio sulla propria esistenza». La perenne crisi d’identità tipica dei film di Woody Allen, il suo vivere ‘come se’ si riduce ad affidare la speranza di rivalsa a una foto ritenuta prestigiosa. Malinconia. Solitudine. Che accadrà adesso? Il selfie trionferà. Con quali risultati? Sono già inclusi nei suoi requisiti così contemporanei e così inquietanti. State sereni, però. La faccenda è grave, ma non seria. Anche questo, come spiegava Flaiano, è il made in Italy.

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