Un bar riciclato ai Giardini Margherita

Simone Bellotti al lavoro nelle ex serre (LE IMMAGINI). Apertura il 2 agosto

Simone Bellotti davanti al bancone del bar ai Giardini Margherita che crea con materiale di riciclo (FotoSchicchi)

Simone Bellotti davanti al bancone del bar ai Giardini Margherita che crea con materiale di riciclo (FotoSchicchi)

Bologna, 30 luglio 2014 - POTREBBE essere il re dello shabby chic e in effetti a Milano, per privati, ha realizzato molti mobili con materiali ‘baciati’ dal tempo e da strati di pittura. Ma se il ‘consumato’ e riciclato sono la moda degli ultimi anni in fatto di design, per Simone Bellotti, artista e costruttore bolognese classe 1967, il recupero è un lavoro di una vita a base di ferro, bulloni e milioni di saldature dal profumo postindustriale, cominciato nel 1988 all’Isola nel Cantiere, il centro sociale dietro all’Arena del Sole, per il quale aveva costruito Il guardiano, e proseguito nel 1994 quando realizzò il mitico bancone del bar a piano terra del Link in via Fioravanti, un’opera complessa e frankesteiniana.

Dopo tanti anni di lontananza dalla sua città e vent’anni dopo quella costruzione iconica, Bellotti torna a creare a Bologna e lo fa per l’associazione Kilowatt, dando vita a un nuovo titanico bancone da bar, questa volta fatto soprattutto di legno, che il 2 agosto aprirà al pubblico nelle ex serre dei Giardini Margherita.

Come nasce questo bancone che sembra uscito dalla penna di Mary Shelley?

«La commissione mi piace, arriva dall’associazione Kilowatt. A Bologna ho chiuso un periodo storico molto creativo ma anche tanto faticoso e ora lavoro solo per passione con progetti seducenti. Mi è stato chiesto di fare un bancone, secondo il mio metodo di recupero e arrivato qui nelle serre ho scoperto il paradiso dei ricercatori fatto di assi, mobili, tavoli, sedie, vasi di terracotta abbandonati. L’avventura ha avuto inizio».

Quando trova tutte queste cose accatastate e abbandonate come fa poi a costruire una visione dell’oggetto?

«Ormai ho una mente catalogatrice e il sistema dell’assemblaggio è quello che utilizzo facendo sculture in ferro, utilizzando tecnologie industriali create dall’uomo che poi, in relazione al posto, prendono un certo verso. Il dato in più è il posto e quel che devo raccontare».

Lei ha iniziato a recuperare oggetti e materiali in tempi non sospetti, ora, forse complice la crisi, è una moda...

«Ho sempre avuto il rifiuto del rifiuto. Per me un oggetto può sempre avere qualcosa da dire ed ecco che empatizzando gliela faccio dire e quel che ho ritrovato, soprattutto in un contesto non suo, diventa eterno».

Quindi è facile vederla in città a caccia di cose?

«La mattina, nel mio quartiere, la Bolognina, esco coi miei cani da caccia che non fiutano selvaggina bensì rottami. E’ vero, c’è la crisi, ma non immagina quanto la gente getti via invece di salvare. Non è raro che chi ha lasciato vicino al cassonetto un mobile poi torni da me a comprarlo riassemblato in modo diverso e con un costo quintuplicato».

Questo è shabby chic! Qualche curiosità sul bancone delle serre?

«E’ lungo 11 metri, le lampade sono vasi di terracotta con dentro dei faretti, la bottigliera sospesa è fatta con legno e pezzi di reticolato, anche i lavandini sono grandi vasi. E qui e là pezzi di sedie, maniglie che spuntano, oggetti ornamentali ricchi di storia come pop up».

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