La rivoluzione che manca

Cattivi pensieri

Bologna, 2 ottobre 2015 - E’ come quando si rimette a nuovo un appartamento. Lo voglio bello, allegro. Voglio le pareti decorate. Voglio le tende di cretonne. Voglio una camera da letto dove si possa ballare. Diceva lo scrittore Albert Camus che «la bellezza, certamente, non fa le rivoluzioni, ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza». Aria di rivoluzione non ne sento, né a Bologna né altrove.

MA è vero che qui da noi si lavora da mesi, anzi, si sventra, si scava, si ripavimenta, si ridisegna, si ristruttura, si ammoderna, si rimodella, si riedifica, per raggiungere l’obiettivo della Città Bella. Dite, forse che una Bologna uscita da un bagno di bellezza, passata attraverso un massaggio di quelli che le vecchie signore vanno a cercare nei centri benessere, non vi piacerà quando la vedrai, dopo i lunghi giorni delle ruspe e della polvere? Bella via Rizzoli. Bella la Mercanzia pedonalizzata. Bella via Ugo Bassi. Belli i basoli trovati in esclusiva in Cina e belli gli operai che li hanno collocati uno a uno. Travolgente addirittura la squadra di fittoni di Piazza Ravegnana, non una distesa posta a tutela dei pedoni ma una smodata installazione, così invadente che il turista in arrivo da via Castiglione non si accorge nemmeno delle cupe Due Torri e crede che il vero monumento di Piazza Ravegnana siano quegli spropositati tuberi di pietra. Bella Piazza Aldrovandi quando sarà. Belli i selciati. 

E’ davvero come quell’appartamento dalle pareti decorate. Prima o dopo viene il giorno in cui ti chiedi se tutte le spese che hai affrontato sono proprio utili. Se, per caso, invece di far venire le tinte dalla Provenza non sarebbe stato meglio dedicarsi all’impianto di riscaldamento o al cancello del giardino. Cose che durano, insomma. Che farebbero parte della struttura della casa per anni. In una città queste cose si chiamerebbero infrastrutture. E allora, se ci pensi, ti accorgi che in tutto questo inseguire la Città Bella per raggiungerla prima delle elezioni amministrative, nessuna infrastruttura è stata allestita (mi correggo, è nata la Tangenzale della Bicicletta: vedere il caos di auto sui viali per credere). 

Non parte il People Mover. Il Crealis mette qualche brivido anche da fermo. Non decolla il Sistema Ferroviario Metropolitano. Non si recuperano i tanti edifici pubblici dismessi. D’accordo, siamo una città di pedoni e di ciclisti. Ma che vantaggi possiamo aspettarci, in termini di praticità quotidiana, a cantieri chiusi? Le colonne di auto in ingresso e in uscita, mattina e sera, dalla città, come le organizziamo? Come disintaseremo il flusso di macchine dirette al centro, visto che, negli anni, non si è pensato di attuare il necessario trasferimento in periferia degli uffici pubblici? 

E mi chiedo se continueremo a far passare i bisonti dell’azienda e i camion del carico e scarico dentro al centro che abbiamo appena ripulito (guai alle navette, si capisce). L’occasione era buona per non limitarsi ad abbellire Bologna, ma a renderla comoda, pronta, efficiente per chi ci abita. Bisognava, però, tenere sotto mano, posto che non la si conoscesse, una pagina di Lewis Mumford, uno dei grandi pionieri dell’urbanistica: «La funzione principale di una città», vi si legge, «è di trasformare il potere in strutture, l’energia in cultura, elementi morti in simboli viventi di arte, e la riproduzione biologica in creatività sociale». Pretendere tutto questo dai marciapiedi allargati o dai fittoni era, fin dall’inizio, un’impresa proibita. Con la Bologna sfavillante ci resta l’ombra del rimpianto. Non si poteva proprio integrare un po’ l’utopia estetica con la funzionalità urbana? 

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