Bologna, l'ora delle riflessioni: una crisi, tante facce

Rossi, ma pure Corvino e Fenucci: tutte le colpe del flop iniziale

Bologna, Corvino e Rossi festeggiano la promozione in Serie A (FotoSchicchi)

Bologna, Corvino e Rossi festeggiano la promozione in Serie A (FotoSchicchi)

Bologna, 6 ottobre 2015 - Diapositiva del mesto lunedì rossoblù post Juve: Fenucci e Corvino chiusi nel fortino di Casteldebole a piangere sul troppo latte versato. Ovvero: la solitudine dei numeri (uno) non primi, ma ultimi in classifica. Foschi presagi s’addensano all’orizzonte. Tre punti dopo le prime 7 giornate rappresentano un record ed eguagliano, nella classifica ultracentenaria delle partenze ad handicap in serie A, quelli raccolti dal Bologna di Pioli nel 2013-2014. Postilla doppia: quei 3 punti furono frutto di altrettanti pareggi, ma soprattutto quella squadra a maggio retrocesse.

Liberi di toccare tutti gli amuleti possibili: ma intanto non si tocca Rossi. Avanti col tecnico che fin qui non ha cavato un ragno da un buco e che si spera possa farlo nei 180 minuti da ‘dentro o fuori’ che attendono i rossoblù dopo la sosta: la sfida casalinga col Palermo e il derby col Carpi al Braglia. In realtà se sei sconfitte in sette partite fin qui non sono bastate a far saltare la panchina è perché la colpa per questo provvisorio (si spera) sfacelo in casa rossoblù ha molti padri.

Tanto per cominciare, se di crisi tecnica manifesta si tratta non può non finire nel mirino l’operato di colui che dell’area tecnica è il responsabile: Pantaleo Corvino. Abbagliato dai fuochi d’artificio di un’infornata fin troppo ricca di giovani ‘di prospettiva’ forse tutto l’ambiente (addetti ai lavori, critica e tifosi) ha perso un po’ il contatto con la realtà, sopravvalutando la reale efficacia dei nuovi arrivati e viceversa sottovalutando l’impatto negativo che avrebbe avuto la folle idea di consegnare la squadra a Rossi quando il campionato aveva già consumato le prime due giornate.

All’atto pratico si stanno rivelando operazioni azzeccate i soli innesti di Mounier, Diawara e Mirante. Aspettando di testare il valore aggiunto di potenziali titolari come Donsah, Giaccherini e Krafth (fin qui bloccati dagli infortuni) sui vari Crisetig, Rossettini, Rizzo, Pulgar e Destro, per citare coloro che dovrebbero incidere di più, a voler essere indulgenti si può solo sospendere il giudizio.

Quanto a Fenucci, da amministratore delegato con deleghe operative (anche sul mercato) è il dirigente che ha le chiavi della macchina rossoblù: e a chi bisogna chieder conto se la macchina ti lascia regolarmente in panne dopo 45 minuti, com’è successo anche domenica allo Juventus Stadium? Forse anche a chi quelle chiavi gliele ha consegnate. E qui, previa genuflessione davanti a Saputo per aver dato al club una solidità che un anno fa non era nemmeno lontanamente immaginabile, bisogna chiedersi se il magnate canadese in queste ore non si stia ponendo a sua volta una domanda: se spendo 70 milioni e mi ritrovo ultimo in classifica dove ho sbagliato?

Poiché gli attori in campo a Casteldebole sono tanti (troppi), così come le teste che devono decidere, sul futuro di Rossi adesso si rischia lo stallo dell’indecisionismo, che è la malattia perniciosa che la scorsa stagione in B procrastinò di tre mesi l’esonero di Lopez, mentre invece sarebbe sempre una buona regola non allungare le inutili agonie. Certo, in prospettiva questa squadra può crescere: anche con Rossi al timone. Ma il maestro della prospettiva era Canaletto. Uno che viveva nel ‘700 a Venezia (dove venerdì sbarcherà Tacopina) e che, come noto, dipingeva quadri e non allenava prospetti.

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