Giovedì 25 Aprile 2024

Animiamo il grande cantiere: se non Dante, almeno visite guidate

Bologna, 24 gennaio 2015 - Una lettura pubblica, a puntate, delle ‘Memorie dal sottosuolo’ di Dostoevskij? Un allestimento di ‘Finale di partita’ di Beckett, dove i genitori di uno dei protagonisti siano imprigionati, anziché in due bidoni per la spazzatura, in due buche? Una rivisitazione della Divina Commedia, dove le voragini degli scavi sostituiscano le tombe del X canto dell’Inferno (quello di Farinata)?

Queste ipotesi non sono goliardate, spiritose o no che siano. Nascono, semplicemente, da una delle falle, una delle tante, che accompagnano l’avvio del Grande Cantiere Rizzoli-Ugo Bassi. Proviamo a capirci.

I lavori non sono soltanto il colpo di un enorme machete calato sul più cruciale asse viario urbano, con gli effetti immaginabili (ma non so quanto ben vagliati) sul traffico, sul commercio, sulla pace degli abitanti. Il Grande Cantiere è anche una gigantesca incisione, una lesione che penetra nel corpo turistico, artistico, culturale della città. Rischiando, se non di comprometterlo, certo di minarne l’attrattiva e i richiami nell’anno dell’Expo, da cui ci aspettiamo orde di visitatori e inauditi vantaggi per il nostro essere, dato il tema dell’avvenimento, una capitale del cibo, ovvero evviva Fico e io lo benedico (ma stupido che sono: a Palazzo d’Accursio il 2015 è l’anno che porta alle elezioni amministrative: ecco la vera ineluttabilità del Grande Cantiere, la sua urgenza).

Possibile, allora, che tutta la novità d’immagine di un intervento che vorrebbe quasi gareggiare con gli ottocenteschi sventramenti parigini guidati dal prefetto Haussmann, consista nelle pareti trasparenti da cui gli sfaccendati potranno ammirare lo sviluppo dei lavori? Quello programmato è un restauro, o no?

E allora qualunque studente d’accademia sa che la moderna scienza del restaurare esige che la zona su cui si opera non resti, durante il periodo dell’intervento, staccata dal resto, tagliata via dalla città (e come si potrebbe, se qui siamo nel cuore di Bologna, a pochi metri dai suoi monumenti e dalle mete degli stranieri?).

Si stenta a credere, davvero, che nessuno finora abbia mandato un segnale. Il Grande Cantiere, di per sé, svuota i T-days. Intralcia i percorsi più fascinosi del Grand Tour bolognese. Lascia Piazza Maggiore da una parte e l’università e la Pinacoteca dall’altra. E allora, se nel centro dell’Aquila si recita fra le macerie del terremoto (un paragone che fa male al cuore) e se due anni fa Coco Chanel fece sfilare a Parigi i suoi modelli in un teatro diroccato, costruito appositamente, è bizzarro, bizzarrissimo o meglio, deludente, che la necessità di animare il Grande Cantiere, di spettacolarizzarlo, non abbia sfiorato le menti di una giunta che si riempie la bocca di Europa e di un’inattaccabile visione smart.

Va bene, rinunciamo alle proposte iniziali e accontentiamoci di qualche visita guidata. Ma resta il dubbio: si potrà avere o, poiché qualcosa costerebbe, anche questa minima speranza finirà sotto le forbici della spending review?

PS. Quanto al fatto che non sia ancora giunta l’autorizzazione della Soprintendenza, indispensabile per il 2 febbraio, giorno della partenza ufficiale, la carità di patria esime dai commenti. Di che cosa hanno parlato, per sei mesi, come ha raccontato l’assessore addetto, tecnici comunali e statli? E se hanno davvero lavorato in sintonia, perché l’autorizzazione non c’è ancora?

Domande ingenue. Il potere dei corpi burocratici sta anche in questo, nel dare responsi tanto più temibili quanto più tenuti segreti fino all’ultimo. Per sancire, per esempio, che i casotti degli attrezzi che infestano la zona di Piazza Roosevelt sono troppo alti di 10 centimetri. Non avvenne qualche cosa di simile per lo schermo del Cinema in Piazza?