Ermal Meta, presentazione del disco da Feltrinelli

Terzo al festival di Sanremo, è atteso lunedì in piazza Ravegnana

Ermal Meta

Ermal Meta

Bologna, 19 febbraio 2017 - Ci sono frammenti di vita, ricordi, esperienze che segnano l’esistenza e che diventano parte del nostro linguaggio, della maniera di relazionarci, delle forme di espressione che scegliamo, anche quelle artistiche. Non si può sfuggire al passato, anche quello più doloroso, che si vorrebbe dimenticare. E, forse per esorcizzarlo, la cultura popolare ci ha insegnato come trasformarlo in una canzone. Lo ha fatto, con delicatezza, e con successo, Ermal Meta, rivelazione del recente Festival di Sanremo, terzo classificato con la canzone Vietato morire, che ricorda il rapporto difficile con il padre. Meta sarà domani alla Libreria Feltrinelli di Piazza Ravegnana a Bologna (ore 18) per presentare il suo nuovo disco che prende il titolo dal brano cantato a Sanremo.

Meta, allora anche quelle di Sanremo non ‘sono solo canzonette’, per citare il titolo del famoso brano di Bennato?  «La musica fa parte della nostra sfera più intima, ha a che fare con le emozioni più profonde, è uno strumento per rendere un sentire personale universale. Questo è il vero merito, a mio avviso, di un artista: avere la consapevolezza che quello che ha provato sulla propria pelle non è più un fatto privato, ma può servire ad accomunare tante persone diverse. Quando una canzone riesce a restituire queste sensazioni, ha raggiunto il suo obiettivo».

A proposito di consapevolezza, la musica pop può aiutare? «Certo! Forse più di mille parole, di un libro, di un discorso di un adulto. Può avvicinare un giovane al superamento di una crisi, normale quando si è adolescenti. L’importante è che, al di là della drammaticità dei contenuti, lanci un messaggio positivo. Io ne ho quotidiana testimonianza nelle mail che ricevo dal pubblico».

Meta, cantare è sempre stata la sua aspirazione. «Un’aspirazione, una necessità, quasi una scelta inevitabile. Io sono nato in Albania in una famiglia di musicisti classici. Ancora prima di parlare cantavo. Non riesco proprio a immaginarmi in un’altra maniera. Ci vuole costanza e sacrificio, ma sapevo chi sarei diventato sin da bambino».

Perché ha scelto, per la serata dedicata alle cover, di interpretare Amara terra mia di Domenico Modugno? «Per due motivi. Uno legato al mio desiderio di superarmi in continuazione e di cercare occasioni apparentemente impossibili. Le canzoni di Modugno, capolavori, sono considerate ‘intoccabili’. Volevo invece dimostrare che tutto può essere alla nostra portata, se si è umili. Poi c’è un fatto più artistico e personale. Quel brano racconta una storia che è anche la mia storia. Quella di chi sa quanto ‘amara’ sia la patria che si abbandona. Ma è anche conscio dell’impossibilità di spezzare un legame che ha a che fare con la nostra identità. Chi siamo e chi vogliano diventare».

Lei è riuscito nell’impresa di mettere d’accordo il pubblico e la critica. «Sono ‘miracoli’ che succedono solo a Sanremo. Io su quel palco ero già salito, ci sono stato anche non fisicamente, con delle canzoni scritte per altri interpreti, ma questa volta quei minuti di spettacolo si sono trasformati in un dono. Parlare, con la musica, dei due temi che più mi stanno a cuore: la fragilità umana e la bellezza della vita. Lì c’è tutta la mia poetica».

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