Bologna, a MAMbo la mostra del visionario Burgert

La prima personale italiana curata da Laura Carlini Fanfogna. L'artista berlinese invita a una traversata agli inferi

Un'opera di Jonas Burgert a MAMbo per Art City

Un'opera di Jonas Burgert a MAMbo per Art City

Bologna, 25 gennaio 2017 - «Trovare un senso. In noi. Nel mondo esterno. Nel rapporto perennemente contrastato tra l’io e gli altri». Un’arte così radicale, così esplosivamente cromatica come quella incarnata da Jonas Burgert, non può che coincidere con l’immersione nella ‘palus putredinis’ ricorrente nei versi di Edoardo Sanguineti: scavare nei terreni più viscidi, scendere agli inferi per tentare una risalita, per riafferrare la volontà di esistere. Lotsucht/Scandagliodipendenza, è la prima personale italiana del 47enne pittore berlinese, che si inaugura alle 18 di oggi a MAMbo (fino al 17 aprile) per la cura di Laura Carlini Fanfogna (nominata a tempo direttrice dell’Istituzione Musei dopo le dimissioni di Gianfranco Maraniello, ed estromessa dall’incarico dalla giunta del 1° agosto 2016; dunque il nuovo dei musei riparte un po’ dal vecchio?).

Le 38 opere di grandi dimensioni allineate negli spazi del Forno del Pane a Museo d'arte moderna di Bologna ci chiamano a questo viaggio negli incubi e nelle angosce. Una specie di traversata dantesca senza la certezza che alla fine ci salveremo, in quel turbinare di animali mostruosi, di figure disumane, di mozziconi di corpi, di occhi senza sguardo, di catene, di simboli e feticci aztechi, di resti, di ossessioni fetali, di scale insanguinate. Bisogna passare di lì. Patire fino in fondo, osserva ancora Burgert, «l’eterno, caotico contrasto tra il nostro essere individuale e il nostro appartenere a una società».

Aggirandosi tra i brandelli che popolano la scala del memorabile Luft nach Schlag , un olio di 4 metri per 6 e 90 o incontrando l’allucinata processione di un adulto e di un bambino sporcato di verde, dentro a un tunnel o a un vicolo di qualche metropoli degradata, il visitatore si misura con tutta la visionarietà di cui Burgert è capace. E il colore tracima come in certi sogni.«Fin da piccolo», osservava ancora lui, all’anteprima dell’esposizione, «ho sentito il bisogno innato di comunicare, mi ha spinto molto a farlo un viaggio compiuto verso i 20 anni nella terra dei Maya». L’immagine-guida della mostra, Stuckfrass, una specie di carretto esotico sprofondato, sotto il quale spuntano teste e membra, dice che la pittura di Burgert è senza tempo e senza confini. E spunta un altro riferimento, Hyeronimus Bosch.

La speranza è nelle donne, nei 6 grandi ritratti radunati in un’ala del vecchio forno. Ma i segni di un oscuro contagio arrivano anche qui, imprimendosi in volti e corpi e turbando la speranza. C’è poi un dettaglio – a proposito, che grande specialista dei dettagli è Burgert – relativo alle date delle opere e alla loro provenienza. Poiché qui è documentato il lavoro degli ultimi dieci anni e poiché, nell’occasione, MAMbo ha riunito dipinti di proprietà di collezionisti internazionali, mai più rivisti dall’autore (solo alcuni sono suoi) una volta venduti con alte quotazioni. Una traccia dell’impegno futuro dell’Istituzione Musei. Valido – si spera – non solo per questi tempi di Arte Fiera e Art City.

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