Bologna, 1 luglio 2010. Passato indenne attraverso ogni tempesta, anche giudiziaria, ieri mattina il generale in congedo della Guardia di Finanza Angelo Cardile, 68 anni, non ha retto alla lettura del decreto di perquisizione notificatogli dai suoi ex colleghi.

Con la scusa di vestirsi si è smarcato per pochi secondi dalla vista dei finanzieri e si è sparato un colpo letale alla tempia con la sua pistola Glock 9x21 regolarmente detenuta.

 Una tragedia doppia, per le Fiamme Gialle di Bologna, poiché il generale, andato in pensione nel 2003 dopo essere arrivato al comando della Regione Calabria, era indagato assieme ad altre nove persone fra cui quattro suoi ex colleghi del nucleo di polizia tributaria, sospettati di corruzione.

L’alto ufficiale, secondo l’accusa, avrebbe manovrato assieme ad altri per addolcire, pochi mesi fa, una verifica fiscale sulla ‘Rimini Yacht’, azienda fondata dal bolognese Giulio Lolli e finita al centro di due indagini, in Romagna e a Bologna, dove la società ha la sua sede legale. Il generale ne era stato consigliere fino al marzo 2010.


Cardile era al corrente della tempesta giudiziaria e ne aveva parlato in un’intervista rilasciata una settimana fa al nostro giornale. «Mi sono dimesso quando ho chiesto di vedere il bilancio e non mi è stato dato — aveva dichiarato —. Io so di non avere fatto nulla che può espormi a qualche rischio, per questo ho chiesto subito di essere sentito dal magistrato. certo, avrei preferito di gran lunga non trovarmi in una situazione del genere». Ci si è trovato in pieno alle 7 di ieri mattina, quando tre sottufficiali in borghese hanno suonato il campanello e gli hanno mostrato il provvedimento.

Secondo la ricostruzione della Procura, il generale lo ha letto sedendosi in soggiorno, ha provato come suo diritto a chiamare l’avvocato ma, data l’ora, ha trovato il cellulare spento. Quindi ha detto ai tre finanzieri: «Va bene, fate il vostro lavoro. Vi chiedo solo di potermi vestire».

Uno dei marescialli lo ha accompagnato in camera ma al momento di togliersi i pantaloni del pigiama Cardile ha chiesto di non essere guardato. Il sottufficiale si è messo sulla soglia e ha accostato la porta. Poco dopo ha sentito il colpo. Il generale si era cambiato, poi aveva afferrato l’arma custodita in un’anta dell’armadio e si era sparato.

Il magistrato titolare dell’inchiesta su ‘Rimini Yacht’, Antonella Scandellari, è intervenuta sul posto insieme al pm di turno Valter Giovannini, che ha affidato gli accertamenti ai carabinieri. Dopo i rilievi, è ricominciata la perquisizione.

Al momento della tragedia in casa c’era anche la moglie dell’alto ufficiale, poco dopo è sopraggiunta la figlia. Nel 2006 si era conclusa con l’assoluzione una vicenda giudiziaria particolarmente pesante per Cardile. Era stato accusato di concussione in relazione al suo periodo di comando delle Fiamme Gialle di Pisa, dal 1988 al 1994.

In primo grado era stato condannato ma la Corte d’Appello di Firenze ribaltò la sentenza e gli restituì la serenità. Fu testimone nell’inchiesta Parmatour, società di cui era stato amministratore dal 23 dicembre 2003 al 15 gennaio 2004, quando il gruppo di Tanzi era ormai collassato. «Io credo che non abbia retto al pensiero di subire altre umiliazioni», dice l’avvocato Armando Veneto, che lo aveva assistito in vicende passate. Era, dice il legale, una persona «nobile, amabile, un uomo sicuro».