Bologna, 27 luglio 2010. «MARCO CALLEGARO era una gran brava persona, prima ancora che un ottimo ufficiale. Un uomo gioviale, che sul piano umano sapeva darti tanto. Così come sul piano professionale, visto che era un professionista davvero in gamba».

Sono parole di dolore, quelle del colonnello Salvatore Calcagno, comandante del 121 Reggimento di artiglieria contraerei ‘Ravenna’, che ha sede a Bologna, in via Due Madonne. Proprio dal 121° reggimento proveniva il capitano Callegaro, il militare che nella notte fra sabato e domenica si è suicidato a Kabul, sparandosi un colpo di fucile nel suo ufficio all’aeroporto della capitale dell’Afghanistan. Faceva parte del contigente italiano della missione Isaf da più di sei mesi e lavorava all’ufficio amministrativo gestione finanziaria. Sul tragico episodio indaga la polizia militare e il riserbo da parte dei vertici dell’esercito è assoluto.

CALLEGARO, 37 anni, nato a Gavello, in provincia di Rovigo, lascia la moglie e due figli, un maschietto di sei anni e una bambina di due. La famiglia risiede in città. I motivi del gesto al momento non si conoscono. L’ufficiale ha lasciato un biglietto a Kabul, il cui contenuto non è stato reso noto. Forse problemi personali, forse lo stress di chi opera in contesti tanto difficili. Il capitano era appena tornato in Afghanistan dopo una licenza, trascorsa con moglie e figli a Riccione. Doveva restare a Kabul altri sei mesi.

La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno a Bologna. E’ toccato proprio al comandante Calcagno il compito di bussare alla porta della famiglia. In caserma, fra i colleghi, regnano dolore, commozione e sconcerto. Nessuno si aspettava un simile dramma. «Era una persona solare, entusiasta del suo lavoro», dice un collega. Callegaro era arrivato al 121° nel 2008, dopo un periodo in un altra sede.

Prima ancora, aveva lavorato alla Brigata Friuli, sempre in città. Aveva frequentato con profitto l’Accademia di Modena e aveva tre lauree. Prima di intraprendere la carriera militare, sognava di lavorare in ferrovia, come il padre. Quella di Kabul non era la sua prima missione all’estero. Non era un novellino. Tutti lo ricordano come un ufficiale impeccabile, professionale, ma sempre allegro e gioviale.

I genitori, papà Marino e mamma Rina, una volta avvisati, sono subito partiti da Gavello per Bologna a bordo di un’auto verde dell’esercito.