Bologna, 11 gennaio 2011 - SI FIDA poco sia dei giornalisti che degli assistenti sociali Sergio Berghi, 43 anni, padre del piccolo Devid, il bimbo morto a 23 giorni al policlinico Sant’Orsola nella notte fra il 4 e il 5 gennaio. Ce l’ha coi cronisti che hanno descritto lui e la sua famiglia come «barboni che vivono per strada — sbotta —: una cosa assolutamente falsa» e guarda con sospetto ai servizi sociali «perché mi hanno già tolto una figlia nata da una precedente relazione: ora ha 16 anni ed è affidata a mia sorella». Di certo l’uomo, che ha la residenza a Montevarchi, in provincia di Arezzo, ha un passato difficile e un presente segnato dalla tragedia. Appena tornato dal funerale del piccolo, accetta di parlare per dire che non si è comportato da irresponsabile.
 

Come è andata quel giorno?
«Eravamo stati a pranzo da mia suocera che abita al Fossolo — spiega —. Stavamo tornando a casa, perché una casa ce l’abbiamo in via delle Tovaglie (nella foto), e siamo passati in piazza Maggiore. Eravamo davanti alla farmacia quando la mia compagna mi ha detto di sistemare i bimbi nel passeggino, per vedere se erano coperti e mi sono accorto che Devid era giallo e viola, come se non respirasse».
 

Chi ha chiamato i soccorsi?
«Li ho chiamati subito io e non i passanti come ha detto qualcuno. Il bimbo era in arresto cardiaco. La sera, mentre Devid era in rianimazione, i medici ci hanno detto che era stabile e tenuto in coma farmacologico. Siamo tornati a casa per farci una doccia e sistemare il gemello e poco dopo mezzanotte ci hanno richiamato perché il piccolo era molto grave. Siamo andati in ospedale a piedi».
 

Le hanno detto perché è morto il bimbo?
«Dopo l’autopsia, a voce, ci hanno detto che forse era un’intossicazione da latte ma sono solo parole: bisogna vedere cosa ci sarà scritto nel referto. Che sia stato il latte non ci posso credere perché al gemello diamo lo stesso latte artificiale, quello che ci hanno indicato in ospedale, e lui sta bene».
 

Suo figlio soffriva di qualche patologia?
«Quando è stato dimesso, il 29 dicembre, ci hanno detto che stava bene, che dovevamo solo tenerlo al caldo, dargli da mangiare sette pasti al giorno, cosa che abbiamo sempre fatto, e dargli delle goccine che gli abbiamo regolarmente dato, a lui e al fratellino. Sono nati prima del tempo, il 13 dicembre, dopo 31 settimane di gestazione. Quello che semmai era stato poco bene quand’era ancora ricoverato è l’altro gemello, e infatti è quello che tenevamo sempre bardatissimo proprio per questo».
 

Può essere stato il freddo a far morire suo figlio?
«Noi abbiamo un appartamento in affitto in via delle Tovaglie, dove paghiamo 460 euro al mese e il riscaldamento funziona. Non è vero che stavamo tutto il giorno fuori o in Sala Borsa: sarà capitato di andare a farci un giro, per un’oretta, ma è falso che viviamo per strada».
 

L’abitazione è privata o pubblica?
«E’ privata. La mia compagna è in lista dal 2007 per la casa popolare ma quelle le ottengono solo gli extracomunitari. Abbiamo già l’affitto pagato fino a febbraio».
 

E avete anche un’altra bambina.
«La bimba, che avrà due anni il 23 febbraio, è nata da una precedente relazione della mia compagna: noi stiamo insieme da un anno. La piccola negli ultimi tempi stava dalla suocera ma solo perché non nascessero gelosie coi due gemelli».
 

Come fate a tirare avanti?
«Io mi faccio un mazzo così per trovare dei lavoretti saltuari di imbiancatura e muratura, porto a casa 700-800 euro al mese ma da prima di Natale non faccio nulla. La mia compagna faceva assistenza agli anziani ma adesso chiaramente non poteva lavorare».
 

Avete chiesto aiuto ai servizi sociali?
«Stavamo per fare domanda per l’assegno di maternità ma non c’è stato il tempo».
 

Niente altro?
«Visto quello che è successo in passato, temevamo che rivolgendoci alle assistenti sociali ci avrebbero tolto i figli».