BOLOGNA, 29 MARZO 2011 - A SENTIRE la loro storia, lo spot dei Ringo Boys sembra lontana anni luce. Chi non ricorda l’immagine dei due ragazzini, compagni di squadra, che si stringono la mano per condividere un’azione vincente? Bene, la pubblicità è ingannevole. E la realtà è certamente meno dolce dei biscotti.
Daniel ha dieci anni, una mamma bolognese e un papà africano. Gioca da due stagioni nella squadra di calcio Fossolo 76 di Bologna. Ma non sa finché vorrà farlo. I reiterati insulti, dovuti al colore della sua pelle, rischiano di prevalere sulla passione sportiva. Domenica scorsa, un episodio clou. Questa volta non si tratta di un confronto tra ‘pulcini’: entra in gioco un adulto.
 

«DOPO LA PARTITA di calcio allo Stadio Bacchilega tra Imolese e Fossolo 76 — racconta il papà — un dirigente (accompagnatore, ndr)della società di casa per designare mio figlio lo ha chiamato ‘negretto’, con l’ approvazione di tutto lo staff presente della società Imolese. Mio figlio non ne può più di essere insultato sui campi da gioco. Il regolamento sportivo è chiaro in materia. Questo è l’ennesimo vergognoso caso di razzismo. Finché si tratta si offese tra coetanei la valutazione può essere più leggera, ma se sono gli adulti a offendere la gravità è indiscutibile».
Il contesto pesa ancora di più. «Lo sport è educativo per antonomasia — ricorda il padre esasperato —, gli accompagnatori dovrebbero essere un esempio per i ragazzini. Mio figlio non può subire sempre, non ce la fa più. Lui ama il calcio e deve poterlo praticare con gli stessi diritti degli altri». Poi il papà di Daniel torna sui fatti. «Quando ho sentito l’ennesima offesa domenica non ho potuto far a meno d’intervenire. Loro non sapevano di essere ascoltati. Ho detto loro che mio figlio ha una maglia con un numero e un nome. La risposta? Negretto è come dire biondino. Invece di presentare le scuse mi hanno detto che è normale usare questa terminologia nel calcio». Secondo quanto affermato dal dirigente generale dell’Imolese, Mauro Lelli, il papà di Daniel avrebbe chiamato anche il 113 e la pattuglia della polizia sarebbe tempestivamente arrivata sul posto. «Il razzismo va combattuto — sbotta l’uomo — e questa è la mia battaglia. Perché di fronte a un figlio che torna a casa in lacrime decine e decine di volte un genitore non può rimanere indifferente. Poco tempo fa mio figlio è arrivato alle mani con un compagno di squadra che gli aveva detto ‘sporco negro’. Prima, quando faceva basket, non è mai successa una cosa del genere. Nel calcio ricorrono troppo spesso situazioni simili. Quando gli dicono ‘torna al tuop Paese’, la sua risposta è ‘il mio Paese è questo’. Perché è così ma la gente è ignorante».
 

TRA L’INDIGNAZIONE e il dispiecere, interviene la mamma di Daniel: «Abbiamo tre figli. Tutti sono stati vittime di episodi di razzismo. Offesi anche a scuola dai compagni. Non c’entrano i bambini, la colpa è degli adulti, dei genotori. A che serve puntualizzare in modo dispregiativo sul colore della pelle? È pura ignoranza. L’episodio di domenica? è vergognoso. Abbiamo sempre cercato di essere tolleranti e comprensivi, ma abbiamo fatto il pieno. Siamo stanchi».