Bologna, 24 settembre 2011 - «BOLOGNA è una città che ha un giorno e ha una notte. Di giorno è apparente, borghese, perbene. La Bologna di notte ha luoghi propri, alcuni oscuri, dove c’è lo scambismo, il battuage, dove i ragazzini extracomunitari vendono il loro corpo per poche lire. Dove questo avviene per piacere o per soldi. Ma questa Bologna oscura non è la città dove in un club culturale si pratica bondage…».
Parla Grazia Verasani, scrittrice, cantautrice e musicista bolognese. Dopo il successo di ‘Quo vadis baby’ (dal quale Salvatores ha tratto un film) che ha reso famosa la sua investigatrice Giorgia Cantini, l’autrice ha appena incassato gli applausi di Venezia per ‘Maternity blues’, tratto dalla sua pièce ‘From Medea’. Verasani ambienta molti dei suoi noir a Bologna, una città «di transito, presuntuosa senza averne più il merito». Le sue donne solitarie, strane, notturne accompagnano i lettori per gli anfratti e gli umori di una Bologna oscura, una città che Grazia Verasani fa quasi indossare ai suoi personaggi che si aggirano fra piazza Ravegnana e i bar di periferia.
 

Sapeva che Bologna era un punto di richiamo per le serate ‘decadence’?

«Ho letto, anche la vicenda della ragazza romana morta. Non sono abituata a moralizzare e non voglio dare giudizi, ma certo mi sono stupita».

Stupita?
 

«Che ci siano giovanissime e consenzienti. Mi stupisce la disponibilità che adombra una ricerca sconfortante di esasperare. Mi pare una forma di disgelo in senso ribellistico ad una società che li appiattisce. La ricerca delle emozioni forti c’è sempre stata, ma quando si arriva al fanatismo, ci si può buttare via…»
 

Si riferisce al bondage e ai giovani del Decadence?

«Il fenomeno bondage rientra in questa casistica, come anche le ragazze che si pagano gli studi mercificando il corpo attraverso internet. E’ come se per mostrare di esistere si dovesse toccare l’estremo».
 

Ma per lei le serate Decadence sono cultura o no?
 

«Francamente, pur nel rispetto delle forme nuove e delle avanguardie, non capisco e non vedo cultura. Mi rendo conto che si tratta dell’evoluzione del piercing alla ricerca di sessualità stravaganti, diverse, eccessive. Ma faccio fatica a vedere nel bondage, nelle trafitture del corpo, nel sesso estremo il lato artistico e tantomeno sociale. Si arriva a rischiare la morte per raggiungere il piacere. Questa è una strada che disprezza la vita semplicemente…».
 

Condivide lo stop dell’Arci, dunque?
 

«Io non sono favorevole alle censure, le persone si devono poter esprimere, a patto che siano consenzienti e non usino violenza verso l’altro. Vedere che una ragazza dia così poco valore alla sua vita non mi disgusta né mi indigna. Mi turba molto, questo sì».