Bologna, 16 novembre 2011 - Eccolo. A un certo punto pare quasi di sentire Truman Capote e quella sua frase: «Si versano più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte». Sfogliando volti e disperazioni. Più lacrime, che miracoli. Mezzi morti e ragazzi ingabbiati da una malattia che t’inquina.

Perché chi conosce Paolo Zamboni — il medico che si batte per l’approvazione della cura che collega la sclerosi multipla all’ostruzione delle vene del cervello — sa bene che la speranza della sua ricerca ogni giorno s’infrange in una muraglia di ostruzionismo: case farmaceutiche baroni colleghi scettici burocrati. Detti così, tutti d’un fiato. Ora deflagrano dentro a un libro di Marco Marozzi, in libreria per i tipi di Mondadori.In viaggio nei ‘Sogni coraggiosi’, questo il titolo di trecento e passa pagine dove testimonianze e commento s’accalcano col passo della cronaca (Capote, appunto; e la vita di Marozzi, prima inviato del nostro giornale e poi di Repubblica), t’accorgi che alla fine la strada per collegare sclerosi e Cccsvi, l’insufficienza venosa cronica cerebro spinale, è ancora lunghissima. Il Carlino dall’inizio la segue.

LACRIME, sì. Ma restano i sogni coraggiosi, quelli del titolo. Nel libro di Marozzi la preghiera esaudita è quella per Elena, la moglie di Paolo Zamboni. «Sento le formiche in faccia»: la malattia si manifesta così. «Poi una gamba, il piede che sembra di marmo». Ma Zamboni fa la sua scoperta (una semplice operazione che fa rifluire il sangue) e «adesso, in questa storia che non è un romanzo e va raccontata dalla fine, Elena si muove liberamente, come una farfalla, fra casa e giardino». Eccola. La preghiera esaudita (Elena sta bene) fa versare lacrime, perché ancora oggi, dopo anni di studi e numeri, la comunità medico-scientifica ancora non riesce ad accettare in toto la cura del chirurgo ferrarese.

C’è questo dentro i ‘Sogni coraggiosi’ del dottor Zamboni: il fatto privato sgorga senza filtri e diventa «la storia di oltre sessantamila italiani». La penna di Marozzi racconta, sì, Elena, la moglie adorata da Zamboni e che ha contribuito a dare il la alla ricerca; ma svela anche il Paolo Zamboni più intimo, Paolo «chirurgo con la mano sinistra impacciata e che fatica con la gamba destra». Era il 1992, Paolo Zamboni scoprì cosa voleva dire essere colpiti da una neuropatia motoria multifocale. I fatti rafforzano la metodologia scientifica.

La data chiave è l’11 dicembre 2006: Zamboni non solo opera una giovane donna, «si convince anche di aver scoperto una nuova malattia». Pensa che potrebbe chiamare la ‘sua’ malattia «ostruzione venosa cronica». No, diventa Ccsvi, il resto è storia nota. Marozzi segue in un estenuante e appassionante corpo a corpo Paolo Zamboni. Gli fa raccontare di quando l’accusarono di «conflitto d’interessi», perché stava sperimentando una cura sulla moglie, al Sant’Anna. Fa emergere l’incontro decisivo, al Bellaria con Fabrizio Salvi, il neurochirurgo che assomiglia «a ‘Doc’ di ‘Ritorno al futuro’». Tradotto in una frase-manifesto: «Gli scellerati sono fatti per incontrarsi».

I DATI della cura, i testimoni. Ma anche le salite: all’arcispedale Sant’Anna di Ferrara, dove Zamboni opera, il team che mette in correlazione Ccsvi e sclerosi mutipla è accusato di«far crescere i costi». Ad esempio «il direttore sanitario autorizzava con il contagocce gli acquisti». Poi spunta Fabio Roversi Monaco, presidente della Fondazione Carisbo, che imprime la svolta e con la Fondazione Hilarescere trova i capitali — soldi bolognesi — che lo Stato non ha. Poi ci sono Nicoletta Mantovani, le storie della Giordania, la Regione «equilibrista», il Ministero della Salute che frena (accade anche in questi giorni), gli esperti (come Giancarlo Comi) che si scontrano. Ma ci sono loro, soprattutto, i malati e i loro familiari. Ambra, una ragazza di Genova, è rinata. «Ora ho la testa leggera», dice.