Bologna, 28 novembre 2011 - SQUILLA Vasco e non mi sembra per nulla depresso. Passiamo al telefono fisso e lui comincia a parlarmi di Facebook. Si è già dimenticato che questo nostro reset generazionale dovrebbe partire dal vascopensiero lungo un libro, qualcosa di meno e di più di un’autobiografia, dove il percorso delle idee sostituisce la cronologia meccanica del tempo. «Mi aiuta moltissimo - annota il social rocker - ci vado tutti i giorni (su feisbuck), ci sto per quel che ho da fare. Me ne sto a casa come se fossi al bar». Prima risata, quindi andiamo bene. «Mi sembra di compagnia», aggiunge. Anche se una delle parole importanti di “La versione di Vasco” (192 pagine, Chiarelettere, profitti in beneficenza) è: solitudine. «Bisogna imparare a stare da soli». Ma Facebook? «Non toglie nulla ai rapporti personali, è un mezzo in più per comunicare. Io stavo molto davanti alla tv perché avevo molto tempo da perdere. La tv ti spegne il cervello, Facebook lo accende».

Vai sul web per parlare e vedere l’affetto che fa?
«E’ la parte più divertente e mi sono inventato i clippini. Mi metto davanti alla webcam, che dovrebbe avere l’angolazione giusta, studiata da un regista, e invece sta come l’ha spostata la signora delle pulizie. E parlo. Sono come sono, senza paranoie. Poi me lo faccio spiegare da Bonaga. Il professore. Lui dice: istintivo e spontaneo. Io invece penso a “questa gloria da stronzi” di Guccini: ne ho abbastanza, mi fa piacere che mi conoscano per quello che sono. Mi hanno fatto quattro anestesie totali, sono rimasto intontito per un po’. Ma hanno debellato il bacterio killer e finalmente sto bene».
 

La mamma e le zie erano preoccupate?
«Molto, soprattutto quando nessuno ci capiva nulla e si è temuto fosse un tumore. Poi è passata. Ritornare la sera a Zocca è stato uno dei momenti più belli della convalescenza. Avevo bisogno di vedere gli amici, di sentire quel mondo. Il bar, le cene, il dialogo, le loro battute feroci ti fanno capire dove va il mondo. E chi sono io».
 

La solitudine due. Hai una famiglia.
«Ho una famiglia per merito di Laura, ma l’ho deciso da rockstar. La Laura, Luca, i miei figli. Quando sono con loro mi sento dove devo essere. Anche se non ci parliamo tantissimo. Io sto in una stanza a fare le mie cose e lui le sue, mi sento tranquillo. Luca frequenta lo I.E.D. a Milano, indirizzo illustrazione e animazione. Lorenzo sta per laurearsi in giornalismo e tecniche di comunicazione all’università di Bologna. Manca la tesi. E Davide si è iscritto all’università di Legge ..!?.. dice che vuole darmi quella soddisfazione ed è una sfida per lui... che comunque vuole continuare la sua attività di attore. Essere padre significa che nella coppia non sei più figlio tu, ti cambia l’ottica con cui vedi il mondo. Non sei più autoriferito.Ho cercato di essere un buon padre. La famiglia è stata la scelta più spericolata, perché io stavo bene in uno Stupido Hotel, è stata una bella sfida. L’ha tenuta in piedi Laura, io l’ho difesa da me stesso».
 

Hai citato una frase di Kierkegaard, «vivere significa poter scegliere, chi non sceglie si sottopone alle scelte degli altri».

«Leggere ti aiuta a capire il senso delle cose la storia del mondo e del pensiero. I libri sono buoni compagni vita. Ho cominciato a 20 anni con i testi anarchici, poi mi sono reso conto che non è possibile che tu impari la partita doppia ma non sai chi è Socrate, allora un giorno mi sono preso la storia della filosofia di Russell. Poi sono andato a leggermi direttamente gli autori. Dovrebbero essere solo due ordini di scuole: un liceo umanistico e uno artistico, per tutti. Poi la specializzazione tecnica».
 

Scrivi che non dobbiamo emarginare e criminalizzare i drogati.
«Tutti dipendiamo da qualcosa, da un amore, da una donna, dagli amici. Dall’alcol, dal sesso, dal potere. Il tossicodipendente non è un cane, è una persona fragile che ha bisogno di noi. Vive una condizione atroce. Ma lo scrivo chiaro: non drogatevi, non bevete. Dovete avere rispetto per voi stessi, non dovete buttarvi via».
 

Qual è la grande medicina della tua vita?
«Quando sto con qualcuno sono più allegro, più vivo. Io da solo non sto bene, il cervello mi lavora contro. La musica, il palco sono la grande medicina e il rock è divertente. Io, artisticamente... ho ancora alcune “cose” da dire e... da fare».