Bologna, 20 dicembre 2011 - C’È UNA MATERIA più difficile delle altre da lavorare, e ci sono mezzi di produzione più complicati degli altri da maneggiare. Come suggeriva Humphrey Bogart, parafrasando Shakespeare, se usi la roba di cui sono fatti i sogni devi stare attento. Potresti scottarti oppure inventare la tua fortuna. Più o meno quello che hanno fatto i tre soci di Luis.it, Luigi Zanolio, sua sorella Maria Giovanna e Marco Piva. Perché la loro azienda si fonda sui materiali e sui mezzi al tempo stesso più evanescenti e redditizi che si possano immaginare: le idee.
Senza le idee, la loro agenzia di comunicazione non sarebbe mai nata. Senza le idee, due ingegneri elettronici e una esperta di chimica non avrebbero mai potuto lanciarsi nel mondo etereo, e creativo, della comunicazione. Senza le idee, una società a forte vocazione internettiana non sarebbe sopravvissuta allo scoppio della bolla del web e alla crisi economica. Invece loro hanno superato tutti gli ostacoli, forti di una crescita costante del fatturato.

 

Da chi è partita la spinta per fondare Luis.it?
«Da me — risponde Luigi Zanolio —. Nonostante la formazione tecnica, il mio sogno era la regia cinematografica. Ho girato anche un film dove recitava un quasi esordiente Stefano Accorsi. Poi ho continuato con gli audiovisivi, e mi sono occupato di video didattici per la facoltà di Scienze della Formazione».
Da lì al web c’è ancora un bel salto.
«Prima ancora di internet c’era la voglia di creare un marchio. Così ho chiamato Marco, che lavorava per Datalogic, e mia sorella, che lavorava per Gazzoni. Insieme abbiamo fondato Luis.it».
I primi passi?
«Tentativi. Cercavamo il nostro modo di comunicare. Abbiamo realizzato il portale ‘Compagni di classe’, per mettere in contatto gli amici di scuola».
Prima di Facebook?
«Molto prima. Ma non era facile da gestire. Molti non si ricordavano più né i nomi di quelli che cercavano, né la classe e spesso neanche l’istituto».
Negli Stati Uniti era più facile, perché all’inizio Facebook metteva in rete gli annuari degli istituti scolastici con tanto di nomi e foto degli studenti.
«Infatti. Poi abbiamo realizzato Comparse, un portale per chi voleva partecipare a produzioni cinematografiche. Funziona ancora, con 19mila iscritti».
E una volta finiti gli esperimenti?
«Abbiamo capito due cose fondamentali. La prima: che c’era uno spazio importante tra le agenzie di comunicazione tradizionali, che del web non volevano saperne, e le agenzie web, che della comunicazione tradizionale non volevano saperne. Noi potevamo lavorare per entrambe».
La seconda?
«Che se il primo anno superi del quaranta per cento gli obiettivi economici hai un grosso problema».
Troppo successo fa male?
«Induce a dormire sugli allori e impedisce una programmazione accurata. Infatti il secondo anno i risultati sono peggiorati. Abbiamo imparato e da lì in poi siamo sempre cresciuti».
Grazie a quali idee in particolare?
«Alla versatilità. Se andava male il web avevamo sempre la comunicazione tradizionale, gli audiovisi, l’e-learning. Potevamo spostarci sul canale più redditizio secondo l’andamento del mercato».
Di fatto, lavorate sempre su campagne sperimentali, con mezzi di comunicazione poco codificati.
«Spesso è così. Del resto, chi può sapere se una campagna funziona finché non la propone al pubblico?»
L’invenzione di cui andate più fieri?
«Ci siamo specializzati nella realtà aumentata».
Sarebbe?
«Si mette un marker, cioè uno stemmino, su una cartolina, un foglio o un telefonino. Si va in rete su un indirizzo preciso e si mostra il marker alla webcam. Parte un filmato che viene incastrato sulla cartolina o sul telefonino con il marker. La Lego, per esempio, mette i marker sulle scatole e quando si mostrano al loro sito si vede un filmato con l’animazione della costruzione completata. Abbiamo in cantiere una decina di progetti del genere, e siamo molto soddisfatti di come procedono».