Bologna, 22 febbraio 2011 - Neppure il tempo di disfare le valigie di Sanremo, e già per Lucio Dalla è tempo di ripartire. Da lunedì lo attende un lungo tour europeo che toccherà alcune fra le sale più prestigiose come l’Olympia di Parigi o l’Alte Oper di Francoforte: «Venti concerti in ventisette giorni — ride—. Come venti partite di calcio». Ma l’anteprima dello spettacolo (di cui Dalla firma anche la regia) sarà tutta emiliana, dopodomani al teatro Carani di Sassuolo, nel Modenese.

Come sarà questo concerto europeo?
«Un mix di pop cantautorale e teatralità. In scaletta metterò canzoni come ‘Caruso’ o ‘L’anno che verrà’, con arrangiamenti non convenzionali, ma inserirò anche alcuni momenti di sapore diverso. Marco Alemanno, oltre a essere vocalist con Emanuela Cortesi, reciterà il testo di un mio brano. In qualche serata avremo anche ospiti».

Per esempio?
«A Vienna o Berlino ho invitato Gianluca Grignani. A Parigi ci sarà Pierdavide Carone: con lui e Giusy Ferreri faremo poi un tour italiano di quindici date».

Capitolo Sanremo: come è andata?
«Ne ho parlato ieri con Morandi: sono rimasto colpito dalla sua professionalità e naturalezza, è stato un colosso a reggere sulle sue spalle lo spettacolo. Senza di lui, sarebbe stato un festival più confuso. Detto fra noi, io mi sono divertito moltissimo a dirigere l’orchestra, e sono felice che Pierdavide Carone abbia presentato un brano nella tradizione dei cantautori».

Ma è stato giusto chiamare Celentano?
«Se lui si mette a disposizione non si può dire di no: è rappresentativo di un’Italia a cui è legato. Certo, forse ha esagerato nell’esubero di tempo ma lui è un istintivo, evidentemente voleva fare così. Da un punto di vista tecnico, purtroppo si è creato un disagio per i cantanti: alcuni sono stati quattro ore in una specie di bunker, aspettando che Celentano finisse».

Le mancherà Bologna in tour?
«Pochi hanno idea di quanto appeal abbia Bologna all’estero: abbiamo Michelangelo, Niccolò Dell’Arca, Guercino, un centro medievale che ci invidiano tutti... E sono rimasto colpito da Genus Bononiae, l’idea di Fabio Roversi Monaco: per la prima volta si offre una dinamica visibile, non solo museale, dell’assoluta importanza di Bologna».

E i bolognesi?
«E’ vero che Bologna appare più statica di quanto era per esempio negli anni Settanta. Capisco qualche delusione, ma mi piacerebbe che tutti i bolognesi amassero questa città anche scuotendola e mettendosi in gioco. Non conosco personalmente l’assessore Ronchi, ma spero che inverta certa inerzia che si è vista fin qui».

Anche con uno spazio rock nel futuro auditorium di Renzo Piano?
«Perché no? Io ho firmato una regia di Stravinskij al Comunale e ho suonato jazz all’Opera di Vienna. La musica non ha steccati ed è fondamentale che non li creino quelli che organizzano».

Stefano Marchetti