Bologna, 3 marzo 2012 - PER LEI che ne ha scritto le parole, la musica di ‘La ragazza e l’eremita’ resta un mistero insondabile. «Perchè — spiega Paola Pallottino — quel testo fu musicato da Lucio che poi però non l’incise mai, così quando cominciai a lavorare con Angelo Branduardi la diedi a lui che, stranamente, compose una melodia molto simile e l’ha inserita nell’album ‘Domenica e lunedì’ del 1994».
 

Se è impossibile penetrare i processi creativi e mentali di chi sente nascere e crescere dentro di sé quella magica sequenza di note che diventa canzone, e che, appunto, può essere sovrapponibile anche se la composizione avviene a distanza d’anni e di situazioni contingenti, fa parte della storia e della vita vissuta la vicenda che ha fatto intersecare per un lungo tratto la vena di autrice della storica dell’illustrazione (dopo anni di docenza universitaria, ora insegna in un corso specifico all’Accademia di Belle Arti) con quella del Lucio compositore. E il loro frutto più fulgido è proprio ‘4 Marzo ’43’, immortale bandiera del primo Dalla che con quella ballata si classificò terzo al suo terzo festival di Sanremo. «La scrissi in metrica — ricorda Pallottino — qui a Bologna e non alle Tremiti come lui inventò anni dopo».

Ma come avvenne il vostro incontro?
«Tutto cominciò dal mio matrimonio. A 22 anni impalmai a Roma Stefano Pompei, urbanista e architetto, che ebbe il suo primo incarico per redigere piani regolatori in Tunisia. Io pensavo di andare nella savana in mezzo ai leoni e invece mi ritrovai in una colonia francese dove l’unica cosa buona era poter agevolmente approfondire l’amore per Brel e Brassens. Poi scoprii Fabrizio De Andrè e dopo il suo ‘Carlo Martello’ capii che si potevano scrivere canzoni che non fossero ‘Papaveri e papere’».
 

Lucio quando entra in questo percorso?
«Arrivando a Bologna amici mi consigliarono di contattarlo e di sottoporgli le mie canzoni. Così feci, ma lui non prese nulla di ciò che avevo pronto però mi incoraggiò a continuare e siccome la mia passione è fare testi tarati proprio sull’artista che le interpreterà, una volta conosciuto mi misi a buttar giù parole che poi lui musicava. Di solito succede il contrario. Per esempio ‘Un uomo come me’ glielo cucii proprio addosso».
 

La sua personale classifica della produzione comune?
«‘Un uomo come me’, ‘Gesù Bambino’, ‘Il gigante e la bambina’ anche se mi fece inquietare che lui avesse preferito darla a Ron mentre io la consideravo adatta a una personalità già forte come la sua. Poi ‘Anna Bellanna’, la canzone dell’amore stregone, tosto, della liaison con la morte. Fantastica. Per me la meglio di tutte».
 

E come finì la collaborazione?
«Finì perchè intorno a lui si radunò una comunità autoriale tutta maschile, da Baldazzi a Bardotti e io che ero femminella, maritata e con bambini non riuscii più a tenere il passo. Poi ci fu l’avvento di Roversi, che scrisse per lui cose meravigliose».
 

Oggi com’erano i rapporti?
«Da due-tre anni ci eravamo riavvicinati. L’ultima volta l’ho sentito venti giorni fa per chiedergli se partecipava all’ultima giornata del Future Film Festival. Ma lui non sapeva, doveva vedere le date della tournée. Di suo mi è rimasto in casa un libro di Augias, ‘Inchiesta su Gesù’, che mi aveva prestato con un dvd che non ho mai guardato. Prima o poi lo farò».
 

di Lorella Bolelli