Bologna, 7 giugno 2012 - E' proprio vero, l’Italia è la Repubblica fondata sul campanile e in questo senso la catastrofe dell’Emilia non è solo un duro colpo per le famiglie delle vittime, per il Pil e per il risparmio, ma è una coltellata all’anima nazionale. Non esiste la pianura senza campanili, non esiste l’identità della singola comunità senza il proprio campanile di riferimento, il quale spesso si collega alla chiesa del matrimonio e del battesimo.

La ricostruzione dei luoghi di culto distrutti e il consolidamento di quelli danneggiati è importante quanto lo saranno le varie ricostruzioni di capannoni e di case. È ovvio che si tratta di un intervento che avrà costi altissimi e tempi non brevi. Questi tempi lunghi è auspicabile che servano a ripensare l’estetica complessiva delle aree colpite. E forse qui sta l’opportunità del disastro. All’americana: "Come trasformare una sciagura in un’opportunità". Dobbiamo fare tutti un’autentica riflessione circa la possibilità di ridisegnare alcune città. Perché allora non immaginare di sostituire gli edifici che negli ultimi cinquant’anni hanno alterato l’armonia dell’eredità storica con nuovi edifici che quest’armonia la recuperano.

Non è affatto folle pensare ad una nuova regolamentazione dei parametri urbanistici per delineare degli autentici progetti, dove dovrebbe apparire anche il premio di abbattimento per il quale ogni metro cubo "brutto" possa dar diritto a due o tre metri cubi «armonici». Le linee di orizzonte che sono state nell’ultimo mezzo secolo deturpate potrebbero così ritrovare una nuova bellezza.

Questa grande scommessa non esclude l’intervento di un’architettura a noi contemporanea che s’inserisca in quella che il passato ci ha trasmesso. Ci sono in Italia esempi da non ripetere, le città nuove di Sicilia costruite dopo il terremoto del Belice, gli errori di programmazione in Umbria, dove i centri storici sono stati abbandonati a favore di una nuova periferia dove tutto regna fuorché la grazia di una volta, infine i recenti casermoni dell’Aquila che rischiano di trasformarsi da temporanei in definitivamente lugubri. Altri esempi italiani sono invece di insegnamento.

La ricostruzione del Friuli va guardata oggi con attenzione: prima le fabbriche, sabato e domenica le chiese, e le case per ultimo, però come quelle di prima, anzi talvolta più aggraziate. Trent’anni fa la città di Tuscania in alto Lazio subì un terremoto non dissimile da quello emiliano. Tuscania è stata ricostruita così com’era e i vincoli di tutela paesaggistica furono talmente attenti da evitare il pullulare di villini che hanno lordato il paesaggio italiano degli ultimi trent’anni. Tuscania oggi è un piccolo miracolo di qualità. Auguriamoci allora che in Emilia parta velocemente un confronto di idee e che l’Ente regionale assuma le responsabilità che le competono. Allora diventerà utile ipotizzare consorzi intercomunali che disegnino aree industriali comuni, in modo da non disseminare per le campagne i capannoni come se fossero capanne.

di Philippe Daverio