Bologna, 9 giugno 2012 - "Dovevamo solo dargli una lezione, non volevamo ucciderlo. Poi abbiamo perso la testa, perché lui ha reagito con un pugno che mi ha rotto il naso". Le prime, parziali ammissioni, sono arrivate nel corso degli interrogatori andati avanti tutto il giorno. E’ stato uno dei due aggressori a spiegare agli inquirenti la (presunta) dinamica del delitto di Dino Reatti, l’artigiano vittima a 48 anni di un pestaggio finito in omicidio.

L’uomo, G. T., 41 anni, è un amico del nuovo compagno della moglie di Reatti. Entrambi, italiani, sono stati fermati con l’accusa di omicidio volontario, mentre sulla donna (torchiata fino a notte fonda) pesa il sospetto non solo di essere stata a conoscenza della spedizione punitiva, ma di esserne forse stata l’ispiratrice. I due amici però scagionano la moglie di Reatti affermando che lei non sapeva nulla dell’aggressione. Hanno detto più volte di aver agito in totale autonomia. una versione ritenuta però poco credibile dagli inquirenti.


Lei, 44 anni, guardia giurata, voleva che il marito se ne andasse per sempre dal casolare di proprietà Acer di via Turrini, ad Anzola, che dividevano in affitto. Non sopportava più quell’uomo con cui aveva passato una vita fatta di incomprensioni, rancori, accuse reciproche, liti e anche qualcosa di peggio. Lei l’aveva infatti denunciato per lesioni e minacce.

A settembre era fissata l’udienza per la separazione. Lo voleva subito fuori dalla sua vita, ma lui, di professione riparatore di frigoriferi e bilance, non voleva andarsene anche perché lì ci lavorava. E così lei avrebbe chiesto aiuto al nuovo compagno, T. S., uno sbandato sardo di 35 anni conosciuto alcuni mesi fa. Ed ecco l’idea: una spedizione punitiva per ricondurre Reatti a più miti consigli. Una 'lezione' che doveva indurre l’artigiano a sloggiare dal casolare. Il compagno avrebbe poi chiesto aiuto a un amico, visto che Reatti era un uomo grande e grosso.


Proprio l’amico ha spiegato a carabinieri come sarebbero andate le cose: "Abbiamo aspettato sotto casa che quell’uomo arrivasse, poi siamo entrati in azione. Ci siamo avvicinati ma lui ha reagito subito, in modo violento. Mi ha colpito al volto con un pugno e mi ha rotto il setto nasale. A quel punto non ci ho visto più". Quel che è successo dopo si capisce dalle lesioni riscontrate sul corpo di Reatti. I due aggressori, armati di spranga, l’hanno assalito con furia cieca e l’hanno picchiato a calci, pugni e bastonate. Quando il 48enne è finito a terra, hanno infierito su di lui, a lungo. Gli hanno rotto cranio e mandibola (tanto che i medici in seguito non sono riusciti a intubarlo) e gli hanno provocato numerose lesioni interne.


La moglie della vittima era in casa con la sorella. Forse ha visto tutto, forse era già lì, prima che tutto cominciasse, per assistere alla punizione. Quando i picchiatori sono fuggiti, ha chiamato il 118 e all’arrivo di sanitari e forze dell’ordine ha provato a difendersi: "Non ho visto né sentito niente, mio marito frequentava brutti giri". C’è voluto poco a capire che la versione faceva acqua. L’accusa per i fermati potrebbe diventare omicidio premeditato. L’attenzione degli inquirenti, dopo i fermi degli uomini, si è appuntata sulla donna. Il sospetto è che si tratti di una vedova nera capace di ordinare una punizione mortale per l’odiato marito.
 

di Gilberto Dondi