Bologna, 3 luglio 2012 - SPREMERSI le meningi dalla mattina alla sera. In fondo è questo il lavoro di chi architetta continuamente nuovi software. Anche se qualcuno pensa che progettare sistemi di controllo e identificazione automatica sia un passo avanti verso il Grande Fratello di orwelliana memoria. Qualcun altro obietta che in fondo, in un mondo sempre più insicuro, serve una maggiore sorveglianza dei prodotti, dei processi e dei comportamenti anomali delle persone. Nel dubbio, l’ingegnere Renato Estri e i suoi soci di Artech continuano a immaginare e realizzare sistemi che aumentano la possibilità di verificare, catalogare e dirigere accessi, entrate, uscite e presenze in un determinato luogo, pubblico o privato che sia.

Un percorso professionale che per Estri è iniziato nel 1980, subito dopo la laurea in ingegneria elettronica, quando non esistevano ancora i personal computer. Prima che i linguaggi di programmazione si diffondessero, si moltiplicassero e cambiassero innumerevoli volte. Per i soci di Artech, sette in tutto, un bello sforzo di aggiornamento continuo, sfociato in decine di prodotti di cui l’azienda detiene la proprietà intellettuale.
 

Ingegner Estri, lei è stato un pioniere.
«Negli anni Ottanta c’era molta richiesta e pochi tecnici informatici. Il mercato era facile».
Eppure ha impiegato tredici anni a mettersi in proprio.
«Insieme ai miei soci lavoravo per un’azienda di Bologna che poi è fallita. Così ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo aperto la nostra società. I primi tre anni è stata durissima».
Poi i sistemi di controllo hanno cominciato a diffondersi a pioggia.
«Be’, non facciamo solo quelli. Abbiamo sviluppato un sistema di pagamento elettronico con carte private, sistemi speciali di monitoraggio e sistemi di rilevamento delle presenze in un determinato ambiente. E abbiamo inventato un protocollo di controllo della produzione».
Come funziona?
«Piazziamo un’etichetta elettronica sui semilavorati che entrano in una fabbrica e la leggiamo automaticamente nelle diverse fasi di lavorazione».
A che scopo?
«Capire cosa succede durante tutto il processo aiuta le aziende a determinare meglio il costo di produzione. E anche a ottimizzare le varie fasi. Se si scopre una inefficienza in un particolare passaggio si può intervenire solo su quello. In tempi in cui il risparmio e l’efficienza sono vitali, si migliora la competitività».
Tra i vostri prodotti c’è anche un sistema di identificazione a distanza.
«Permette di sapere quante persone stanno lavorando su una determinata linea di produzione senza che debbano strisciare il badge in un’apposita macchina. Oppure di capire immediatamente se un locale che è stato evacuato sia effettivamente vuoto».
È una forma di controllo sui comportamenti nei luoghi di lavoro?
«Non necessariamente. È chiaro che questi sistemi devono essere resi noti a chi è soggetto all’identificazione».
Costano molto?
«Abbastanza. Si usano perché migliorano l’efficienza della gestione. C’è uno studio secondo il quale gli enti pubblici perdono il 75% delle loro risorse per autogestire la burocrazia».
Un’azienda come la sua è condannata a un aggiornamento continuo.
«Pensiamo continuamente a nuove idee mai realizzate prima. Sei anni fa ci siamo inventati Argo, un sistema touch screen molto meno costoso e più robusto. Poi abbiamo affidato il design a un esterno, perché in un prodotto del genere era importante anche lo stile».
In un mercato altalenante come l’attuale come vi sentite?
«I conti sono positivi. Dipendiamo pochissimo dalle banche perché siamo patrimonializzati bene. Però risentiamo delle incertezze dei nostri clienti. Se loro se ne vanno noi come facciamo?».
Una società come la vostra coltiva il progetto di una killer application? Cioè del softwar-e che vi regalerà un successo incontestabile?
«Ci penso tutti i giorni. E un’idea ce l’ho. Ma è presto per parlarne».

Marco Girella