Bologna, 13 luglio 2012 - È O NON È il giovane Caravaggio? È possibile che tutti i disegni venuti alla luce pochi giorni fa a Milano, siano da attribuire al Merisi adolescente? Come sono arrivati a questa scoperta Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli? Le domande del ‘giallo’ artistico dell’estate sono tante. Di certo, il lavoro è stato imponente: schedare, catalogare, confrontare, cercare i modelli di riferimento, accostare le date e i luoghi. Dopo la scoperta dei disegni nel fondo Peterzano, i due studiosi hanno cercato l’appoggio delle persone più fidate: fra questi un bolognese, Roberto Martorelli, che lavora in Comune come referente nell’ambito del progetto di valorizzazione della Certosa e del Museo del Risorgimento.

Quando e perché è stato contattato da Curuz e Fedrigolli?
«Conosco Adriana Conconi Fedrigolli da diverso tempo, ci siamo conosciuti durante le ricerche che ha fatto su Giovan Battista Lombardi e il monumento Magenta che è nella nostra Certosa. Un giorno, all’inizio del 2012 mi chiamò».
E cosa le disse?
«Percepivo un certo nervosismo: sembrava sulle spine, la sua tensione emotiva era palpabile, finché un giorno, dopo avermi fatto giurare silenzio e riserbo assoluto mi manda un disegno: si trattava dello studio del vecchio soldato nella ‘Conversione di Saulo’. Sono rimasto sconvolto».
Da quel momento come è nata la collaborazione con i due studiosi bresciani, dato che sono suoi tutti gli accostamenti e il lavoro grafico che compongono i due e-books pubblicati su Amazon?
«Lo studio era già in stato avanzato, Curuz e Fedrigolli avevano già accostato un gran numero di disegni a opere esistenti, ma Adriana, conoscendo la mia sensibilità e le mie competenze, mi chiese se potevo occuparmi di rendere ancora più fruibili gli accostamenti tra dipinti e disegni».
Quindi?
«Da questo momento in poi è iniziata la mia collaborazione, dopo pochi giorni sono andato a Brescia per rendermi conto del lavoro. Loro avevano già suddiviso tutto in quattro blocchi stilistici. Abbiamo passato centinaia di ore con il proiettore per ingrandire al massimo i particolari e renderci meglio conto dei dettagli stilistici e tecnici».
Senza entrare nella polemica che vi circonda, su tutte le opere che avete presentato nei due e-books sembrate avere delle certezze salde, che cosa ve le ha date?
«Tolti i disegni del maestro Peterzano, riconoscibilissimi per stile, mano, finezza e correttezza anatomica, ne rimanevano moltissimi altri: ci siamo concentrati su questi. A parte le analogie e le corrispondenze, ci sono anche moltissime sovrapposizioni, e poi c’è la lettera di Caravaggio. Dopo averli studiati a fondo, cosa dovevamo pensare? Le invettive non servono a nulla, bisogna guardare il lavoro».
Ci sono state anche altre persone ad aiutarvi?
«Sì, il nostro era uno staff di sette persone molto motivate. È stata dura non poterne parlare con nessuno, a parte i miei genitori».
Lei non è nuovo a scoperte clamorose…
«È vero, nel 2008, dopo aver ripetutamente chiesto, ma invano, a diversi studiosi di venire a vedere quattro tavole monocrome a tempera nella chiesa di San Girolamo in Certosa, finalmente un giorno Daniela Scaglietti Kelescian viene e riconosce, così come avevo proposto io, Amico Aspertini. Non è una cosa strana che delle opere sfuggano al corretto riconoscimento, e Aspertini non era nemmeno dentro un archivio. Anch’io ho subito lo strascico di polemiche sull’attribuzione, ma mai che queste critiche siano state seguite anche da documenti che indicassero un autore diverso, non una prova».
Non è che per caso sta lavorando in qualche archivio di Bologna, dobbiamo aspettarci sorprese?
«A Bologna i tesori non mancano, al momento abbiamo aperto una collaborazione con il Collegio Artistico Venturoli che possiede dei veri tesori, come le opere di Giacomo de Maria ed Enrico Barberi. Questi nomi però non hanno la stessa risonanza di altri, pur essendo opere magnifiche che rimangono clamorose solo per alcuni addetti e appassionati, opere di un periodo nel quale Bologna è stata crocevia del meglio della cultura artistica nazionale. Il nostro Ottocento e primo Novecento sono periodi dimenticati, un buco nero nell’interesse degli attori culturali “di peso”».

Alessia Marchi